L’ emancipazione nella scrittura femminile tra Eros e Logos. Intervista a Dona Amati

L’intervista da me curata apparsa sul n. 18 di Euterpe a tema: “Seduzione e sesso nella letteratura”

Dona-Amati11) Nel lavoro di editrice ma, anche nella passione per la poesia, hai sempre convogliato le tue energie, la tua attenzione, alla scrittura femminile e alla scrittura erotica; hai curato il festival al femminile Eros e Kairos e hai fondato il gruppo “Saffo e le altre” volto al recupero dei testi di poete scomparse, storiche, nell’intento di creare un archivio finalizzato alla diffusione dei suddetti testi che giacciono nell’anonimato. Una delle poete donne che hai pubblicato con FusibiliaLibri (nel libro: Cammino orgogliosa per la mia strada) è la principessa Wallada Bint Al- Mustakfi, vissuta durante l’XI secolo nei territori arabo-spagnoli, fondatrice del cenacolo letterario nel quale accolse donne di tutte le classi sociali per insegnare loro la poesia. I suoi versi distintivi recitano: “Sono stata creata da Dio per la sua gloria, ma cammino orgogliosa per la mia strada. Sulla mia guancia comandi pure l’amante, i baci li offro invece a chiunque li desideri.” Pur prescindendo dalla grande distanza temporale e culturale che ci separa dalla “Saffo andalusa” alcune tematiche trattate restano attuali e vive, quanto c’è in te di Wallada?

Cover-Wallada-DOPPIA_5_7_solo-primaD.A. Innanzitutto fammi dire di quanto sia orgogliosa dell’esser la prima casa editrice italiana ad averla tradotta e pubblicata qui nel “bel paese” dove è ancora sconosciuta ai più . Dalla intensità delle liriche di Wallada, le poche sopravvissute alla distruzione operata dal predominio della cultura maschile (sorte che la accomuna ad altre grandi fattrici di pensiero come Ipazia, filosofa e matematica del V sec., martire pagana le cui opere furono date alle fiamme dopo il suo assassinio) trapela tutta la forza della sua indole ribelle e impavida, l’insofferenza per precise imposizioni sociali che le donne si trovano, loro malgrado, a subire e le cui motivazioni antropologiche per una supposta supremazia maschile abbracciano un arco temporale lungo millenni. La principessa Omeya Wallada portatrice di un eros copiosamente riversato nei suoi versi, attrice d’amore carnale, dove l’eròmenos è sia uomo che donna, si sbarazzò del velo islamico ed evitò di sposarsi per non dover sottostare al controllo di un marito. Morì sulla soglia dei cento anni come persona che ha liberamente condotto le proprie scelte, tra le quali il voler farsi carico dell’erudizione, e quindi dell’emancipazione, di altre donne. Credo sia questo istinto all’indipendenza e all’autostima che mi accomuna a lei, il volermi riconoscere sovrana della mia esistenza e appartenente a una comunità, quella femminile, tuttora sotto il giogo delle società a modello patriarcale (seppur con dinamiche di peso differente nelle varie culture del pianeta). Questo voler agire contro l’ingiustizia delle imposizioni, contro la predazione dei diritti naturali, questo voler essere riconosciuta ‘persona’ e non soggetto gregario (quando va bene) od oggetto funzionale all’uomo (quando va peggio), questo è sicuramente retaggio di una ribellione che ha attraversato  Wallada, femminista ante litteram, ed è giunta sino a me, a noi, perché imparassimo ad agire per liberarci della paura, e la scrittura è azione dopo il pensiero:

“Prendi tua figlia e insegnale lo splendore della disobbedienza. È rischioso, ma è più rischioso non farlo mai”. Sofocle, “Antigone”.


2) Prendendo in esame la letteratura contemporanea non trovi che ci sia stata una perdita della dimensione erotica-sensuale nella scrittura a favore di una insistenza verso tematiche sessuali che tendono alla pornografia, all’osceno, alla volgarità, più che alla sensualità e all’erotismo e, comunque, di gusto/stile discutibile?  Nel capitolo dedicato alla letteratura erotica femminile della “Storia della letteratura erotica” Sarane Alexandrian apre così: “La letteratura erotica femminile ha origini imprecisate e sviluppo tardivo: ha prodotto sino ad ora opere interessanti, alcune persino avvincenti, ma neanche un capolavoro. […]La causa va cercata nella natura stessa dell’erotismo femminile, molto meno cerebrale di quello maschile: le donne provano sensazioni sensuali più vive e più profonde degli uomini, ma sono meno idonee a trasformarle in idee o immagini.”  Sei d’accordo con lui? Esistono, a tuo avviso, autrici contemporanee (nel panorama letterario nazionale e non) che riescano a concepire una scrittura erotica/sensuale elevata e di spessore che non tenda a scadere nella banalità noiosa di un vuoto descrittivo privo di contenuti?

copertina teorema del corpo.jpgD.A. Sono solita affermare che due sono le insidie della scrittura erotica: la volgarità e la banalità, e che la seconda è peggio della prima. Se la poesia ha le sue regole, una di queste è trovare e mantenere una propria cifra originale e distintiva, la poiesis, ‘fare’, appunto, evitando di scadere nella reiterazione di certi moduli letterari esausti e sfruttati, la mimesis, ‘copiare’, appunto; questo è fondamentale per evocare nel lettore lo stupore, finalità della creazione poetica. Vero è che l’erotismo sta alla evocazione delle immagini sensuali (elaborate successivamente nel laboratorio personale del lettore) come la pornografia sta al suo racconto ostentato di sessualità: a differenza, insomma, tra suggerire e mostrare. Ma la banalità di una narrazione fatta di immagini stantie e lemmi abusati, senza un lavoro personale sulle componenti poetiche, è un appiattimento ancor più avvilente della trivialità di un linguaggio specificamente sessuale.
Riguardo le considerazioni di Alexandrian, dirò che non sono d’accordo sull’erotismo femminile “molto meno cerebrale di quello maschile”, credo che il primo paghi il condizionamento culturale che non vuole le donne ‘senzienti’ e fruitrici del proprio corpo, della propria sessualità, se non per fini riproduttivi: usufruttuarie, di fatto, di una pulsione naturale tutta volta alla soggettività maschile che decide e conduce. Sono più d’accordo invece, sulla fatica di tradurre le sensazioni sensuali, le idee, materializzandole nella scrittura, riconosciuta (e anche temuta) come uno dei più portentosi atti di ribellione, per le ragioni di cui sopra. Non so cosa occorra per definire ‘capolavoro’ una produzione letteraria, se il furor di popolo o il mignolino alzato di certa critica, ma penso ad autrici di narrativa capaci di un erotismo forte e liberatorio, penso ad Erica Jong e al suo Paura di volare, ad Anaïs Nin che ha scritto Il delta di Venere, alla francese Marguerite Duras; per la poesia erotica contemporanea penso alle americane Anne Sexton e Adrienne Rich, alla spagnola Ana Rossetti, alla giapponese Akiko Yosano, al forte tratto che rasenta il pornografico (ma qui chioserei che l’estremizzazione letteraria era la reazione ostentata del suo malessere sociale) della tormentata Jana Černá, cecoslovacca; e ancora, alla poesia di Patrizia Valduga, di Francesca Mazzucato, e penso anche a un paio di autrici davvero sorprendenti inserite nell’antologia Teorema del corpo – Donne scrivono l’eros che ho curato e pubblicato per FusibiliaLibri.


3) Prendiamo in esame una delle più famose censure della storia della letteratura erotica. 20 agosto 1857 sul banco degli imputati Le Fleurs du mal: Baudelaire viene accusato dal pubblico ministero di “essere l’autore di opere che portano all’eccitazione dei sensi attraverso un realismo volgare e lesivo del pudore.” Sappiamo, tuttavia, che l’universo sensuale di questo magnifico poeta è l’esatto contrario dell’oscenità, ma a Baudelaire non venne perdonato il fatto di aver elevato l’eros a qualcosa di più del solo piacere fisico associandolo alla metafisica dei sentimenti malinconici. Quanto pensi che la censura abbia influito sul successo di un’opera letteraria? Esiste ancora il gusto del proibito oppure, come amano affermare alcuni, in letteratura è già stato scritto tutto e, quindi, non è più possibile scandalizzarsi di nulla?

D.A. Non credo che ci sia nulla di esaurito, tantomeno in letteratura. E fortunatamente esiste ancora il gusto del proibito (io la chiamerei curiosità), penso che sia uno stimolo a non accontentarsi di quanto viene fornito dalla ufficialità, dal potere costituito, che sia politico o accademico, credo sia importante spingersi oltre l’esperienza accreditata, alla ricerca di nuove risposte e possibilità che abbiamo il diritto di vagliare. Per la formazione di una coscienza nostra, elaborata sulle nostre scelte. Come potremmo crescere, scegliere, senza guardare oltre il muretto di confine? Basta non tramutare questa sana curiosità in morbosità, sarebbe allora una regressione agli istinti meno nobili.


4) Gli occidentali, abituati a una grande libertà di espressione, hanno perso quella potenza comunicativa che è fortissima, invece in quei paesi in cui l’emancipazione è ancora lontana: lì la poesia diventa un atto di denuncia. Sono molte, ad esempio, le afghane che compongono e recitano landais, una forma di poesia breve, popolare e antica che le donne pasthun utilizzano in segreto per denunciare le violenze e i soprusi a cui sono sottoposte. Landays – o landai, letteralmente piccolo serpente velenoso, è un distico in cui il primo verso è di nove sillabe, il secondo di tredici, che non affronta solo temi come la guerra e la condizione femminile: l’eros, sempre avvolto di quella vena satirica, è un tema molto presente.

Eccone un esempio: «Fai scivolare la tua mano dentro il mio reggiseno/ accarezza una rossa e matura melagrana di Kandahar».

L’oralità della poesia, molto evidente nel fenomeno dei piccoli morsi velenosi, per ovvi motivi di protezione delle poete anonime, è un elemento importante della letteratura che ha permesso la circolazione di tematiche satiriche e di denuncia. La libera circolazione delle idee in tempi di emancipazione sembra aver assopito da noi il fermento culturale che vibra, invece, intensamente in altre culture. Nella tua esperienza di donna, editrice e scrittrice quale realtà hai potuto appurare nel nostro paese?

Dona AmatiD.A. Della poesia afghana ho il ricordo doloroso di Nadia Anjuman, uccisa dal marito nel 2005 a soli 26 anni per aver ‘osato’ scrivere poesia. Appunto, esempio a conferma di quanto detto finora. La non osservanza di un codice comportamentale che vieta di esprimersi, quindi ‘emergere alla visione degli altri’, le donne lo pagano ancora in prima persona. Ma torno alla domanda, sulle esperienze in suolo natio. Ben consapevole che la scrittura sia un atto di denuncia, e per denuncia intendo ‘presa di coscienza’ ho promosso e curato collettanee di poesia e prosa invitando le autrici e gli autori ad indagare su temi poco visitati dall’editoria attuale, che per scelte commerciali gravita su temi positivi ma asfittici come l’amore, le ricorrenze, le celebrazioni e altre cose stantie del genere. I nostri progetti editoriali mirano ad indagini più insolite sui sentimenti conflittuali, come la controversa relazione con l’altra/o (Caro bastardo ti scrivo…) o con se stesse (Sono bella, ma non è colpa mia, attualmente è in lavorazione Il morso verde – racconti dalle acque dell’invidia). L’intento del tutto provocatorio, ovvio, è quello di consentire agli autori di esprimersi dando fondo ai ‘sospesi residuali’, la cui decantazione canalizza l’energia emotiva rimessa in moto, nella scrittura liberatoria. I risultati sono stati quelli sperati, l’opportunità di rimescolare nei personali ‘vasi di Pandora’ affrontando senza mezzi termini frustrazioni, inadeguatezze, debolezze, desideri inappagati, sentimenti che spesso si coagulano in una ansiosa percezione della propria relazione con gli altri ha sciolto perplessità, lingue, talenti. Sono così emerse dalla vena più ardua delle autrici/ori storie di grande impatto comunicativo, confessioni/denuncia per scrivere le quali ciascuna/o ha attinto al registro narrativo più congeniale sollevando il più possibile l’asticella dell’autocensura. Ma so di autrici che se non motivate a fare altrimenti, attivano dinamiche mentali tutte a svantaggio dell’espressività.


 

5) Restando in tema, poiché in effetti noi non conosciamo questo genere di censure, quanto pesa però, il pregiudizio, derivante spesso da una cultura patriarcale, sulle donne che scrivono di sesso e di eros? E, viceversa, quanto pesa il pregiudizio, altrettanto nocivo, di non occuparsi di queste tematiche, dal momento che il mercato della scrittura sembra volerle richiedere?

D.A. Ripeto che la scrittura è un atto di affrancamento da costrizioni, metodiche mentali e sociali; mette in moto dinamiche e risorse ignorate che sappiamo, sono generalmente invise a chi tenta di controllare e omologare gli individui, e questo è uno dei rischi dell’esprimersi creativamente, l’opposizione cioè, di chi sta intorno.

E se la scrittura è un dispositivo di azione civile incontrovertibile, la poesia (lineare od erotica credo che la differenza sia solo negli stilemi, non nella forza creativa), più intensa e criptica nel suo linguaggio simbolico/emozionale rispetto alla prosa, la poesia, dicevo, ancor più elicita il bisogno di raccontare, di assicurare alla coscienza del lettore (e il primo lettore è l’autore stesso), alle sue soglie visionarie e percettive, lo sforzo della decodificazione delle realtà, alla prospettiva di conquista interiore, a una dimensione più grata alla vita. Educate a temere il corpo dalla maggioranza degli schemi culturali, alienate dal proprio erotismo, indotte a condizionare le proprie capacità di libera scelta, e non solo per una sessualità consapevole, da tempo ormai le donne stanno recuperando terreno per liberare innanzitutto se stesse dai pregiudizi di genere, perché la loro padronanza diventi una prospettiva a sostegno di un nuovo modello che spero, andrà a sostituirsi agli attuali. Hanno iniziato a contendere all’egemonia maschile, rivendicandolo, il ruolo di fattrici di cultura, negato nei secoli come uno sciente e sistematico atto politico. Rimossa dalle società patriarcali la memoria della creatività femminile, declassandola come prodotto subalterno, è ovvio che sia stato insegnato alle donne a ignorare e osteggiare i sussulti creativi. Per questo credo che l’avvenuto incremento di poesia erotica di questi ultimi decenni sia già un risultato sostanziale per le donne, significa la concessione fatta a se stesse di ascoltarsi intimamente, definire nuovi percorsi di indipendenza e di autodeterminazione attraverso il rafforzamento della propria immagine interiore come attrici e soggetti della pulsione erotica, cioè inclinazione alla vita e accettazione del proprio essere, oltre alla minore arrendevolezza ai dettami sociali. Le donne scrivono per riconoscere e testimoniare consapevolmente se stesse e il proprio mo(n)do.  Max Frisch, narratore svizzero, nel suo romanzo Montauk del 1978 scrive:

Quanto era bello, e importante, che l’altra parte, la donna, si esprimesse sì, […] abbiamo bisogno dell’autorappresentazione della donna.


6) Quali sono le autrici femminili, nella storia della letteratura erotica, che ti hanno maggiormente ispirato, o alle quali ti senti affine, tra quelle che hanno trattato i temi di sesso/seduzione? E tra gli autori maschili?

Dona_Amati11.jpgD.A. Da anni mi dedico, per le finalità del progetto “Saffo e le altre”, alla ricerca del patrimonio letterario femminile e da questo studio si sono aperti scenari lontanamente immaginabili all’interno di programmi ufficiali scolastici. La Storia, interamente concepita ad appannaggio maschile, è in gran parte da riscrivere, giacché le donne storiche che hanno scritto, non storicizzate, sono tantissime. Ma la prima poeta della storia è stata Enheduanna, sacerdotessa sumera del 2280 a.C. È lei l’autrice sempre presente nei miei reading, i suoi versi scritti in onore della dea di cui era officiante, Inanna, sono meravigliosamente suggestivi e intrisi di fierezza. Stesso tratto che ritrovo in Wallada, e in Ono No Komachi (giapponese), coeve. E Christine de Pizan, francese di origini italiane del XIV sec. che scrisse “La città delle donne”, poemetto che rivendica dignità. E poi Gaspara Stampa, Ortensia da Fabriano. Tra le contemporanee una nume tutelare per me è Anne Sexton, poi Ingeborg Bachmann, Amelia Rosselli, Forough Farrokhzad, e Joumana Haddad che ho voluto come madrina lo scorso anno al festival Eros e Kairos. Potrei continuare e non basterebbero i fogli. Tra i poeti? Per forma mentis in pubblico non leggo versi di uomini, non certo per sessismo ma perché mi sono resa conto che le donne hanno da sempre dovuto faticare il triplo dei loro colleghi uomini per raggiungere un terzo dei risultati e perché penso all’ingegno della “foemina sapiens” come un passo non narrato nella storia dell’umanità. Per questo con il passare degli anni mi sono dedicata a diffondere la creatività delle donne riservando ogni occasione, ogni energia per la diffusione della poesia femminile, ancora troppo in svantaggio rispetto alla maschile. Ma tra le mie letture domestiche ci sono Garcia Lorca, così come Verlaine, e Celan, struggente.


7) La scrittura erotica femminile di cosa si nutre secondo te?

D.A. Di molte cose che le donne già sanno: della consapevolezza che sia considerata prodotto di un dio minore, o di un demonio, e questo ha spinto a scrivere con più forza; del rimpianto d’esser stata ristretta per troppo tempo nella paura di esprimersi, e questo l’ha portata a maturare una intensità che brilla nei versi di quelle che sanno scrivere davvero, per dono e umiltà. Perché scrivere poesia non è solo per il valore assoluto del talento letterario, ma anche per una visione amplificata delle cose quotidianeE non credo ci sia differenza tra donne e uomini per le dinamiche che generano poesia, ma so per esperienza che le prime affidano ai versi ciò che spesso non trova auditori, un’officina emozionale che comprende sentimenti sull’asse paura- desiderio, che si sostanzia nel coraggio, ciò che più spesso porta il canto delle donne. Ma si nutre anche dell’ambizione di trovare lo spazio per l’elogio e la conferma di una sensualità consapevole, lussuriosa, a propria misura d’attrice, in cui innanzitutto ricreare, scrivendo, il corpo senza relegazioni. Avendo riguardo di ciò che il corpo comunica.


Riguardo-allobbedienza8) Sei autrice, oltre che editrice, di una plaquette di poesie erotiche molto raffinata: “Riguardo all’obbedienza – Poesie dal corpo”. Un titolo dove l’obbedienza, scrive Letizia Leone nella postfazione, si piega alla potenza eversiva dell’amore per diventare infrazione. La prima delle poesie è, infatti, un canto d’amore di obbedienza a Lilith. Il linguaggio lirico in questa plaquette si fa materico: utilizzi le geografie del corpo per creare un nuovo alfabeto poetico in cui Eros e Logos si intrecciano scambiandosi di ruolo e di sostanza. Quanto è carnale e potente il Logos,  nell’esprimere concetti e immagini di natura sensuale-erotica ma dallo spessore filosofico-morale, è evidente in questi versi che assumono il valore di un manifesto poetico: “Sto portando fuori dal corpo/singolarmente/ le oscillazioni insonni/ dell’osmosi viva/del sesso sonoro.” Il sesso è sonoro, è parola che tramuta in poesia e il corpo stesso è già linguaggio d’Eros che racchiude l’aspetto triplice di Himeros, Photos, Anteros. “Ogni amore-scrivi- ha un giroflesso magniloquente come un verso pingue di parole”. Che rapporto c’è, nella scrittura femminile in generale e nella tua scrittura, tra corpo e poesia?

D.A. Riconosco il mio corpo come strumento di risonanza emotiva, come viatico di esperienze reali e visionarie, io mi sento piuttosto un’ospite pensante in questo contenitore. Come entità fisico-biologica vive un’esistenza rapportata alle sollecitazioni del mondo con la mediazione della sensibilità; nelle sue fibre fissa suggestioni, ricordi, reazioni più o meno espresse (o represse). Dunque il corpo è portatore di diversi stadi di coscienza le cui argomentazioni, maturate sulla accettazione o ridiscussione dei paradigmi di genere, pressoché incentrati sull’idea ossessiva di controllare la sessualità della femmina, aprono a un ampio excursus di interpretazioni. E la poesia è un altro strumento, connaturata al mio essere profondo, io sono anche lei, perché lei è in me. Sento costantemente sillabe, parole, suoni, concetti rotolarmi dentro mossi da un odore, un’immagine, un oggetto che cade, qualcosa che avviene, qualcosa che desidero. Osservo allora le cose profondamente in un tempo più rarefatto e le suggestioni si trasformano in scrittura. Così io, il corpo e la poesia siamo un tutt’uno, un unicum vivente e vibrante che palesa l’esperienza immateriale percettiva del riconoscersi organismo senziente, costantemente in ri-composizione dell’immagine archetipica a cui io non posso sottrarre la mia “obbedienza”.


9) Sempre a proposito delle tue poesie dal corpo, la dedica di apertura recita “Io scrivo d’Eros, per non disimparare l’essere compiuta”. Cosa significa per una donna essere compiuta e quanto è importante indagare, per la sensibilità femminile, il proprio erotismo?

D.A. Essere compiuta significa non disconoscere, ma anzi accogliere e tutelare, l’energia primigenia dell’eros, la naturale inclinazione alla vita, alla creazione, agnizione della propria individualità, perché come afferma Anaïs Nin:

“L’erotismo è una delle basi di conoscenza di sé, tanto indispensabile quanto la poesia”.


10) Ti andrebbe di salutarci lasciandoci un landai al veleno d’eros per incentivare la scrittura erotico-sovversiva delle donne?

Certo, te ne lascio due* :

coltivo nel corpo una fame
classificata già come indissolubile

all’ingombro della virtù
sostituiremo certi spassi incandescenti


(Valentina Meloni)


 

Note

*(sillabazione metrica: verso tronco una sillaba in più, n.d.r.)

Link di riferimento:

Sito personale

Sito casa editrice

Blog Saffo e le altre:

Pagina fb  Fusibilia-libri-eventi-lunghicircuiti-

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