Poesia è intimità

Ho più volte affermato che la Poesia è intimità. Con questo intendo descrivere l’epifania che si crea quando ci si sente a proprio agio nei versi di un poeta, quando quei versi sono in grado di costruire una piccola “casa” fuori da ogni tempo e da ogni luogo conosciuti, in cui si instaura una condizione di particolare vicinanza, in questo caso emotiva, tra due esseri.

Io imparo a vedere. Non so perché tutto penetra in me più profondo e non rimane là dove, prima, sempre aveva fine e svaniva. Ho un luogo interno che non conoscevo. Ora tutto va a finire là. Non so che cosa vi accada. (Rainer Maria Rilke)

Allo stesso modo l’intimità accade al poeta quando la sensibilità lo connette all’altro. L’altro che è egli stesso, posto in una condizione dialogante, il lettore futuro – che esista o meno (ciò non è importante, si ricordi la lezione di Thomas Stearns Eliot in Le tre voci della poesia) -, e soprattutto l’altro come entità facente parte del mondo del poeta. In questo senso il dialogo del poeta si estende alle cose viventi e non viventi. Il poeta si rivolge agli alberi, ai fiori, alla luna, alle stelle, al vento, agli edifici, a Dio, alle ombre, alle cose a venire, agli eventi futuri, ai bambini, anche a quelli che non sono nati, si rivolge agli animali e all’anima delle cose fino all’imperscrutabile. Quel famoso “Je est un autre” di Artur Rimbaud nella Lettera del veggente non è solo un pensiero romantico ma una visione del pensiero stesso visto nell’ottica di spettatore esterno, come un altro da sé. Rimbaud traccia una distinzione tra “poesia soggettiva” e “poesia oggettiva”, che trascende l’Io ed è tesa creativamente a perlustrare l’ignoto. Non è un caso che io abbia avvertito la necessità di fondare e curare dal 2007, prima un gruppo, poi una pagina e un blog dal titolo Quelli che parlano agli alberi, incentrati sulla poesia e sulla natura. Cercavo la mia dimensione, ricreavo la mia intimità. E come? – direte voi – pubblicamente? Ma certo, è allora che nasceva il mio bisogno, allora necessitavo aprire la porta, allora dovevo incontrare la mia alterità, il mio essere l’altro e altro da me. Che il poeta parla agli alberi lo scrive Ida Travi, poetessa contemporanea dalla voce unica, in uno dei suoi bellissimi saggi La poetica del basso continuo. Nel capitolo: Come si parla a un albero?

Pag 39 da Ida Travi, La poetica del basso continuo, Moretti e Vitali, 2015

Lo ribadisce Alexander Shurbanov in questa intervista di cui riporto un passo, e nel suo libro Dendrarium che presto leggerete nella mia traduzione (ne ho parlato qui). Lo dicono moltissimi poeti che ho raccolto nell’antologia tematica sugli alberi che curo da dieci anni a questa parte, Poesie sull’Albero, (presto lo ascolterete dalla voce poetica di Joy Harjo di cui ho tradotto la poesia dal titolo Albero parlante) non solo come ossessione – come spesso viene percepita — ma come ricerca personale, come dialogo intimo con i poeti, con quell’essere altro che dilata la dimensione del poeta fino alla contiguità con l’inesplorato.

In A. Shurbanov ritrovo questa dimensione di intimità in moltissime delle poesie che sto traducendo ed egli stesso ne parla in queste righe:

Francesco Tomada: […] uno dei presupposti per provare a scrivere poesia è la solitudine? Intendo non il semplice stare da soli, ma una sorta di solitudine interiore che si rivela in qualche modo incurabile?


Alexander Shurbanov
: La natura stessa dei poeti e degli scrittori, così come la natura del loro lavoro, sono tali da avere bisogno di isolamento, distacco dalla folla impazzita. Un importante poeta bulgaro contemporaneo, Ivan Radoev, sottolinea: “Un talento per prima cosa deve conquistare la solitudine”. Virginia Woolf ha scritto il famoso saggio “Una stanza tutta per sé” con idee del tutto simili in mente. L’atteggiamento stesso dei poeti, il loro modo di comunicare è solitario, quasi solipsistico. Osip Mandelstam disse scherzando: “Di solito, quando qualcuno ha qualcosa da dire, va dagli altri a cercare un uditorio. Invece un poeta fa il contrario: corre “fin sulle onde del deserto, nel bosco di querce fruscianti”, citando una famosa poesia di Puskin.

Così possiamo dire che la poesia è una sorta di non-discorso, una specie di colloquio silenzioso con se stessi. A volte ci lamentiamo che il nostro lavoro è solitario e quindi la nostra vita anche lo è. Ma non è forse vero che tentiamo, parlando con noi stessi, di parlare con il mondo intero? Il poeta apparentemente così appartato non è in realtà ipersociale? Non è forse il poeta, a differenza della maggioranza delle persone, in grado di dialogare con tutte le cose animate e inanimate? A volte mi sembra che i poeti siano spesso soli perché sono troppo ambiziosi nel loro sforzo di comunicare con tutto il mondo esterno e un simile tentativo è destinato a lasciarli insoddisfatti e frustrati. Lo so abbastanza bene, per esperienza personale.

citazione tratta dalla Conversazione tra Francesco Tomada e Alexander Shurbanov pubblicata nella Rivista di Letteratura Inkroci
Ciò che spinge la poesia a esistere è lo stupore: conversazione con Alexander Shurbanov

Necessaria è una cosa sola: solitudine, grande solitudine interiore. Volgere lo sguardo dentro sé e per ore non incontrare nessuno; questo bisogna saper ottenere. (Rainer Maria Rilke)

nanita

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