Almanacco Secolo Donna 2025

Felice di essere presente in questo volume, dedicato alla valente Anna Maria Curci, con una nota critica del poeta e critico Silvio Aman che ringrazio profondamente e tre miei testi tratti dalle mie pubblicazioni. Grazie a Bonifacio Vincenzi e alla redazione di Macabor per il lavoro svolto.

Macabor ha il piacere di annunciare l’uscita dell’ALMANACCO SECOLO DONNA 2025 – “Anna Maria Curci e il prodigio dell’esistenza”, a cura di Bonifacio Vincenzi e Silvano Trevisani.

Questo volume di “Secolo Donna 2025” lo abbiamo dedicato all’opera poetica di Anna Maria Curci, un’autrice capace di scavare nell’essenza del vivere e che da sempre sa chiedere alla parola di agire come una forza misteriosa, per poter rielaborare, in poetica, il suo percorso di vita reale e letteraria.
Nella seconda parte del libro prosegue la nostra attenzione rispettosa verso quelle autrici che dimostrano una sensibilità non solo letteraria, e che nella poesia non cercano e vedono solo la soddisfazione del superfluo, ma sono impegnate in un percorso di ricerca serio ed esigente. Nella Piccola Antologia poetica abbiamo dedicato ampio spazio alla poesia di Miriam Bruni, Elena Miglioli, Adriana Tasin (Nord Italia); Alessandra Carnovale, Carla Malerba, Valentina Meloni (Centro Italia); Serena Mansueto, Maria Grazia Palazzo, Greta Rodan (Sud Italia); Marisa Liseo, Margherita Rimi, Melania Valenti (Italia Insulare). E nello spazio dedicato alle giovani autrici nate a partire dagli anni ’90, presentiamo, tra l’altro, due autrici agli esordi: Valeria Cartolaro e Federica Fiorella Imperato. Un discorso diverso invece deve essere fatto riguardo all’inserimento di Eleonora Rimolo, che pur essendo giovanissima, per forza di struttura e intensità di scrittura, ha già un percorso ben consolidato nella poesia italiana di questi ultimi anni. E, infine, nel consueto spazio dell’Almanacco dedicato alla poesia delle donne del resto del mondo presentiamo ai lettori italiani le poetesse Nohad Salameh (Libano), Lia Sturua (Georgia), Emily Weinreich (Germania). Traduzioni a cura di Rossella Nicolò, Giancarlo Cavallo e Nunu Geladze.

Hanno collaborato a questo volume: Silvio Aman, Elisa Audino, Luca Benassi, Giancarlo Cavallo, Francesca Del Moro, Anna Maria Di Pietro, Lucia Gaddo Zanovello, Giansalvo Pio Fortunato, Carlo Giacobbi, Nunu Geladze, Stefania Giammillaro, Angela Greco AnGre, David La Mantia, Lucrezia Lombardo, Andrea Mariotti, Daìta Martinez, Rossella Nicolò, Gianni Antonio Palumbo, Cristina Polli, Irene Sabetta, Patrizia Sardisco, Maria Laura Valente.
(dalla quarta di copertina).

Per chi fosse interessato a ricevere una copia la potete trovare qui

Kosame

Kosame*

piccola piccola
la pioggia mi accarezza
come fossi un gatto,
le foglie si piegano appena
al tocco di gocce sottili…
gentile, un angelo-nuvola
oggi ha pianto di gioia.

*

小雨 (Kosame) – Significa “pioggerellina”. È una pioggia leggera e fine, spesso fastidiosa se si è all’aperto. In Giappone esistono cinquanta diversi modi per dire “pioggia”, ognuno dei quali rappresenta una diversa sfumatura di questo fenomeno.La varietà di termini per la pioggia in giapponese non è solo linguistica, ma riflette anche l’importanza culturale e climatica della pioggia nel Giappone. Le piogge possono avere effetti significativi sulla vita quotidiana, sull’agricoltura e sull’ambiente. La lingua giapponese, quindi, ha sviluppato un vocabolario ricco per descrivere le diverse intensità e tipi di pioggia, permettendo una comunicazione più precisa e poetica di questo fenomeno atmosferico.

Pubblicata in Plenilunio l’11 novembre 2025

Tutte le mie piccole voci

tutte le mie piccole voci

si acquattano sotto il muscolo

e sobbalzano in battere e levare

a ogni sussulto di cuore.

tutte le minuscole voci

non vogliono né possono tacere

stanno in allerta e tornano

a dire la sicumera di esistere

contro ogni ragionevole dubbio.

tutte le mie piccole voci

scrivono un altro mondo:

quello che non posso vedere

ma vive nascosto tra i silenzi.

n a n i t a

Pubblicata in Plenilunio il 20 novembre 2025

Il silenzio come misura. Su “Breviario antalgico” di Alessandro Camilletti

Il titolo Breviario antalgico di Alessandro Camilletti rivela già nella sua composizione una tensione tra cura e ascesi. Il breviario, plaquette di quindici poesie arricchite dagli enigmatici disegni dell’artista e poeta Gian Ruggero Manzoni, è il libro della preghiera quotidiana, della disciplina interiore; l’aggettivo antalgico, proprio del linguaggio medico, designa ciò che allevia il dolore. Ne scaturisce un ossimoro fertile: un libro che è insieme farmaco e rito, parola che lenisce attraverso la concentrazione, non l’espansione.

Le epigrafi poste in apertura disegnano il tracciato di una geografia spirituale che unisce Oriente e Occidente, sapienza antica e consapevolezza moderna. “La grande parola è luminosa; la piccola è prolissa”, afferma Zhuang-zi, e in questa sentenza è già contenuto l’intero progetto poetico di Camilletti: cercare la luce nel poco, la verità nella misura. A seguire, Schopenhauer ammonisce che “non si può servire al tempo stesso due padroni così diversi come il mondo e la verità”: il poeta sceglie chiaramente il secondo, rinunciando alla cronaca per un linguaggio spoglio, interrogativo, talvolta oracolare. Infine, Andrea Emo riconosce che “è distruggendo il nostro dolore che noi facciamo della poesia”: la sofferenza non è negata, ma attraversata fino al suo annullamento.

Camilletti costruisce così un breviario della coscienza in cui la forma breve, quasi aforistica, diviene pratica di conoscenza. Non vi è sviluppo discorsivo, ma successione di frammenti che si illuminano reciprocamente, come lampi nel pensiero. “La verità è risplendere della necessità”, afferma l’esergo di Nicolás Gómez Dávila, e il verso poetico si fa strumento di tale risplendere, non dichiarazione ma rivelazione.

La scrittura di Camilletti si situa in una linea che va da Eraclito ai pensatori orientali del Tao, fino al Bashō maturo, quello dei taccuini di viaggio e dei versi che coincidono con la percezione pura.

Nei componimenti più scarnificati, come

“Scoprendo / Copre”

“Eroico o vile, / ogni gesto si dissolve”,

ritorna l’eco della saggezza taoista, per la quale il sapere autentico si manifesta come sottrazione, e la verità coincide con il vuoto. Il poeta, come nel Tao Te Ching, sa che “chi sa non parla, chi parla non sa”: la parola, ridotta al suo minimo respiro, tende al silenzio.

L’intero libro si regge su un ritmo binario di opposizioni: “L’alto / Il basso // Vicino e lontano”, “Divora e spinge / La volontà”, “Scoprendo / Copre”. È in queste polarità che si dispiega la tensione del pensiero poetico, il tentativo di abitare la contraddizione senza risolverla. L’unità non è mai data, ma cercata nell’oscillazione. Il mondo, scrive Camilletti, è “un susseguirsi di guasti / il nostro trionfo”: la frattura è riconosciuta come condizione necessaria, non come errore da correggere.

Nella seconda parte, introdotta da un altro frammento di Gómez Dávila – “La maturità dello spirito comincia non appena smettiamo di sentirci incaricati del mondo” – la poesia assume un tono più umano, di lenta resa e trasfigurazione. La lingua si fa più mobile, attraversata da un ritmo respiratorio che ricorda il principio zen del mujo, l’impermanenza:

“Riparare ferite
Ricucire strappi

Lasciar
Evaporare il risentimento
Dissolvere il rammarico.”

Il gesto poetico diventa qui un atto di distacco consapevole, di dissoluzione del dolore nell’accettazione. Come in certa poesia giapponese — da Saigyō a Ryōkan — il poeta esercita la propria mente come si affila una lama: per ottenere il vuoto, per rendere la parola trasparente.

Il riferimento finale “a Friedrich Nietzsche” suggella un dialogo silenzioso con l’Occidente: la ricerca della leggerezza dopo il peso, la riconciliazione col divenire. In fondo, Breviario antalgico è anche un cammino di trasformazione del dolore in lucidità, un itinerario verso la pace della necessità:

“Nelle pause la poesia
Nei silenzi la sapienza
Nel respiro l’essenza.”

In questi versi conclusivi si condensa la lezione più profonda del libro: la poesia come via del respiro, come sospensione che non è assenza ma presenza più piena. Camilletti sembra ritrovare, nel gesto della concentrazione, quella “grande parola luminosa” di cui parlava Zhuang-zi: non verbo che spiega, ma luce che accoglie.

E a proposito di Nietzsche e della brevità che contraddistingue la scrittura di Breviario antalgico e che ha esaminato così bene Adriana Gloria Marigo nella sua eccellente nota “La nitida, incisiva proporzione spirituale della brevitas”, non si deve pensare che Alessandro Camilletti non abbia meditato la sua scrittura, che i suoi versi non siano frutto di una accurata introspezione: la brevità è per Camilletti una scelta stilistica di forma che abbraccia un contenuto fatto di silenzi e spazi bianchi (si veda come è strutturato il libro), di figure che lasciano spazio a un’interpretazione personale (i disegni di Gian Ruggero Manzoni) e di una scrittura meditativa che apre al lettore visioni e suggestioni e che, a sua volta, invita alla meditazione.

“Contro i biasimatori della brevità. Una cosa detta con brevità può essere il frutto e il raccolto di molte cose pensate a lungo: ma il lettore che in questo campo è novizio e non ha ancora affatto riflettuto al riguardo, vede in tutto ciò che è detto con brevità qualcosa di embrionale, non senza un cenno di biasimo per l’autore, che gli ha messo in tavola per pranzo, col resto, simili cose non finite di crescere, non maturate.” FRIEDRICH NIETZSCHE, Umano troppo umano II, 1879/80.

Il compiersi della tensione lirica, che è una piccola illuminazione, è lasciato con cura al lettore che deve cogliere, nelle suggestioni operate dalla poesia, il punto di incontro con le proprie emozioni ed esperienze e trasformarle in dialogo silenzioso con l’autore.

Breviario antalgico è dunque un testo liminare, scritto al confine tra pensiero e intuizione, tra ferita e cura. Come in certi sutra zen o nei koan, la forma breve diventa veicolo di una sapienza senza dogmi: l’insegnamento non è detto, ma si lascia intravedere, come il riflesso di una pietra bianca nel giorno perfetto.

“Il sole accarezza la piazza

Levità e dolcezza incorniciano

Il planare dei colombi sulla fontana”

*
“Continui assestamenti

Levigano il dispiacere

Una pietra bianca

É il giorno perfetto”


nanita

Nuovo manuale di scrittura haikai di Antonio Sacco

Con felicità condivido la pubblicazione del “Nuovo manuale di scrittura haikai. Vademecum pratico per comporre poesie haiku e altri generi poetici di origine giapponese” (Nulla die Edizioni, 242 pagine) di Antonio Sacco, di cui ho redatto la prefazione.


Tale edizione prevede nuovi capitoli, ulteriori approfondimenti e tre appendici: Antonio ha incluso la trattazione dei gendai haiku (gli haiku moderni), le figure retoriche negli haiku in lingua italiana, la polisemia, la didattica di questo genere poetico nelle scuole e il ruolo del lettore di poesie haiku.
Inoltre, ha ampliato i capitoli sulle tecniche compositive, sui valori e sui corollari estetici tipici di questo tipo di poesia e ha approfondito l’origine e la storia dello haiku.
L’opera è disponibile per essere ordinata sul sito di Nulla Die al seguente link, e presto sarà disponibile su tutti bookshop on-line, su Amazon è già disponibile qui.

Indice completo del Nuovo Manuale di Scrittura Haikai


Prefazione di Valentina Meloni; Introduzione; Capitolo 1 – Gli aspetti formali della poesia haiku; Capitolo 2 – Gli aspetti contenutistici della poesia haiku; Capitolo 3 – Le tecniche di composizione; Capitolo 4 – Ulteriori approfondimenti sulle tecniche compositive; Capitolo 5 – Come non si compone una poesia haiku; Capitolo 6 – Il concetto di spirito nella poetica haiku; Capitolo 7 – I meccanismi dell’ispirazione poetica; Capitolo 8 – La composizione di altri generi poetici di origine giapponese; Capitolo 9 – I gendai haiku; Capitolo 10 – La figure retoriche nelle poesie haiku in lingua italiana; Capitolo 11 – Polisemia, omonimia e polisenso nelle poesie haiku in lingua italiana; Capitolo 12 – La didattica delle poesie haiku nelle scuole; Capitolo 13 – Essere haijin: identikit del poeta di haiku; Capitolo 14 – Consigli pratici; Capitolo 15 – Il ruolo del lettore nelle poesie haiku; Capitolo 16 – Sezione commentata; Capitolo 17 – Piccola raccolta di citazioni sulla poesia haiku; Soluzioni agli esercizi proposti; Glossario; Post- fazione di Niccolò Tucci; Appendice I (Lo honkadori: quando il “nuovo” incontra il “vecchio” nella poesia giapponese); Appendice II (Jisei no ku. Come dire addio al mondo attraverso piccole poesie); Appendice III (La poesia haiku e i grandi poeti occidentali); Bibliografia; Sitografia.


Buona lettura e buon haiku a tutti!

Confini immaginari: 5 poesie inedite per “Parole a capo”

Sono state pubblicate 5 mie poesie inedite su Periscopionline sempre grazie a Pier Luigi Guerrini per l’invito e buona lettura a voi!

❤

Confini immaginari

Poi sto qui a chiedermi che senso abbia
scrivere di non so più cosa mentre
poco lontano, a Gaza, sparano
sui disperati in fila per il pane;
e non so darmi risposta e tremo
al pensiero che io sia ancora in vita mentre
in una terra di cui conosco poco o nulla
una bimba -occhi profondi- muore
incenerita dalle bombe.
Un tuono riempie le distanze.
È il senso di colpa del sopravvissuto
o dell’indifferente? Mi chiedo- mentre
la pioggia scorre sul volto e non cancella
niente di quello che fa male;
eppure mi conforta sapere che il pianto
non s’è visto- nascosto in una goccia-
che si è confuso con l’eco addolorato del cielo
in un pomeriggio qualunque
di questo cinque luglio duemilaventicinque.
Agli esseri ancora in vita non sia data
la disperazione anche se, poco più in là,
la guerra di confini immaginari
ha cancellato i volti di una popolazione.

La sapienza dei fiori. Note sul “Piccolo Florario” di Adriana Gloria Marigo

Nel Piccolo Florario di Adriana Gloria Marigo, la parola poetica si fa erbario sapienziale, atlante affettivo e meditazione liturgica sul tempo e sulla luce, affidando ai fiori – ai loro nomi, alle loro presenze e metamorfosi – la funzione di simboli viventi, figure di un pensiero in ascolto della natura e delle sue inavvertite rivelazioni. Fin dal titolo, il libro si presenta come un’eredità culturale che richiama i florari medievali, gli erbari poetici e sapienzali che univano scienza e simbolo, ma aggiornato qui alla sensibilità moderna. Si tratta di un libro che si presenta come una raccolta minuta e contemplativa, dove l’aggettivo “piccolo” non allude tanto alla dimensione materiale dell’opera quanto alla sua intenzione stilistica: un’arte della misura, del dettaglio, della bellezza colta nel suo farsi.

La poesia della Marigo si inserisce in una tradizione che unisce la contemplazione della natura con la riflessione filosofica e spirituale, e si nutre di riferimenti espliciti ed impliciti a una costellazione di voci poetiche novecentesche che hanno saputo affidare al paesaggio la lingua più profonda dell’anima. Le epigrafi iniziali (Zanzotto, Prete, Machado, Bacchini) sono dichiarazioni d’intenti: con Zanzotto condivide il culto della parola come materia vivente; con Bacchini, l’idea che la scrittura sia vegetale e che la natura non sia oggetto, ma soggetto del discorso poetico; con Machado, la nostalgia e la fragilità del tempo che scorre «del verde mustio / de las marchitas frondas». Non manca un richiamo alla filosofia, nella dedica a Maria Zambrano, pensatrice della luce e della “ragione poetica”, e in un’aura sapienziale che pervade il libro, dove «gli alberi parlano la lingua sapienziale» e la natura si fa codice etico e conoscitivo.

Da Zanzotto a Bacchini, da Prete a Machado dunque, ma anche da Emily Dickinson a Pierre Chappuis, la cui frase in chiusura del libro può essere letta come una chiave di poetica: «Tra autore e lettore, niente più che un fascio di parole, che sono tutto; tra di loro, l’inafferrabile». È proprio questo “inafferrabile” che il Piccolo Florario tenta di far balenare, affidandosi a un lessico prezioso ma mai barocco, a un tono alto e insieme intimo, a una sapienza lessicale botanica che si fonde con l’ethos della parola poetica.

Lo stile è raffinato, intensamente musicale, spesso costruito su immagini che uniscono concretezza e astrazione: «il tempo / erompe in gemme rubine e topazie»; «il giglio marino forgia luce nera / ai prismici semi naviganti». La sintassi talvolta si frange in enjambements lievi, a suggerire l’andamento del respiro e la disseminazione dei fiori nel testo, mentre il lessico si arricchisce di termini botanici precisi (Pancratium maritimum, Parthenocissus quinquefolia, Ceratophillum demersum), che vengono “umanizzati” in una liturgia naturale e mitopoietica.

Nel libro, i fiori non sono soltanto presenze naturali o pretesti decorativi, ma vere e proprie entità agenti, dotate di forza espressiva e spirituale. Alcuni componimenti portano i nomi latini delle piante (“Wisteria”, “Tilia grandiflora”, “Ceratophillum demersum”), quasi a restituire a ciascuna specie il suo statuto nominale e sacrale. In questa attenzione alla nomenclatura scientifica si coglie anche un’eco dell’antica sapienza monastica e dei bestiari medievali, in cui ogni nome custodiva un senso da decifrare.

La struttura del libro segue il ritmo delle stagioni, accompagnando il lettore in un cammino che si fa diario interiore e liturgia del tempo: «Torna l’ora che acquieta la notte / entro le soglie dorate di maggio – / destino di verzieri fiorenti / nei giorni dei gemini». Qui il tempo non è solo cornice ma sostanza stessa del poema, come se la parola poetica dovesse ogni volta rinascere con la fioritura, o inabissarsi con la caduta delle foglie.

La lingua di Marigo è tesa, musicale, selettiva, colta. In essa si intrecciano vocaboli desueti (“porporino”, “aulente”, “verziero”), forme latineggianti e una sintassi ampia, che predilige l’enjambement e il rallentamento del verso. Le immagini sono costruite per evocazione più che per narrazione, secondo una modalità spesso prossima alla lirica simbolista. La natura è colta nel suo fremito sensibile, nella sua vocazione a divenire “altro”: «Il giglio marino forgia luce nera / ai prismici semi naviganti», oppure «Nel lamineto tutto s’addice / alla vita minima d’acqua e d’aria».

Non mancano, nel Florario, i paesaggi precisi e amati – il Lago Maggiore, la Valcuvia, Caorle, Venezia, Asolo – che rivelano una geografia dell’anima radicata in luoghi vissuti e trasfigurati, un rapporto intenso con l’elemento vegetale e con la luce come principio generativo: «La luce diurna v’inonda di colore / la stretta lucente vi radica alla terra / morenica, v’inchioma i canti». La luce, elemento ricorrente e polisemico, attraversa l’intero libro: «la luce notturna vi cinge d’effluvi», «l’incerta luce», «la materia vegetale della luce». Essa è soglia tra visibile e invisibile, tra fisico e metafisico, rendendo la visione poetica una forma di epifania.

Il rapporto tra uomo e pianta è tematizzato anche in chiave ontologica. L’osservazione di un glicine appena germogliato si fa riflessione sulla resilienza e sullo slancio vitale: «Del suo acerbo verde leggero / s’allegra la norma botanica, / specchiata nel mio codice umano». In altri luoghi, è il fiore stesso a incarnare una forma di presenza alternativa, non antropocentrica, in armonia con le leggi segrete del mondo: «Qui non ci sono gli attriti del tempo, / il curaro di sue pargolette invidie».

Le dediche poste a inizio e fine sezione – a Maria Zambrano, Silvio Aman, fine prefatore dell’opera, Silvio Raffo, Paolo Menon, Antonella Barina – non sono semplici omaggi, ma aperture dialogiche, richiami alla comunità dei viventi e dei pensanti che con la poesia condividono una stessa tensione verso il sensibile e l’invisibile. La Zambrano, in particolare, con la sua filosofia poetica e visionaria, sembra offrire una sponda alla scrittura della Marigo, che cerca nel chiaro del bosco «l’onda vegetale / sotto l’aria vaga e raminga».

Infine, l’intero libro può essere letto anche come una meditazione sulla metamorfosi – stagione, luce, pianta, parola, essere – e sulla necessità di un’adesione armonica al ritmo del mondo, contro ogni artificio o distrazione. In questo senso, il Piccolo Florario è un libro che resiste alla velocità, che chiede tempo, silenzio, presenza. E che nel gesto apparentemente semplice di nominare un fiore restituisce al lettore il respiro più profondo del vivere.

*

C’è una prospettiva di cielo

assoluto, luce che tarda

a decrescere tra i rami

ancora per poco bruniti.

Fra non molto –

a una curva, improvvisamente –

gemmerà l’accordo dei fiori.

*

Nelle notti di primavera gli alberi

parlano la lingua sapienziale

al cospetto del demone benedetto

che avviva di luce mirabile

i giorni dell’effuso diletto

e più tardi, dell’autunno sfarzoso

il prestigio morituro di tutto il colore.

*

                                                                          A Maria Zambrano

Che cosa illumina

questo chiaro del bosco che gentile

scende tra le fronde fresche di linfe

all’erba che guardo e m’intenera,

onda vegetale

sotto l’aria vaga e raminga?

*

                                                                                         A Silvio Aman

Cerco i fiori. Dei loro colori

s’inebria il mattino, la luce

fluisce dall’arresa corolla

alla trama di mia vita

l’incessante movenza d’onda,

sposa ai citrini fiorili

la liturgia della parola.

*

Valentina Meloni, Castiglione del Lago, 14/06/2025

Albero viaggiante – omaggio a Matsuo Bashō

“Albero Viaggiante” è un’opera d’arte e poesia che si configura come un profondo omaggio a Matsuo Bashō, il celebre poeta viandante giapponese. Il libro è il frutto della collaborazione tra Floriana Porta (autrice degli haiku) e Anna Maria Scocozza (artista visiva, responsabile delle tecniche di suminagashi e ricamo poetico). La prefazione è curata da Rossella Marangoni, mentre le traduzioni degli haiku in giapponese sono di Cristina Banella e quelle in inglese di Johanna Finocchiaro. La calligrafia del titolo “Albero Viaggiante” è opera della maestra calligrafa Yoko Kawabata.

Quest’opera poliedrica nasce come un “libro d’artista a fisarmonica in formato ‘leporello'”, una struttura che permette una narrazione visiva continua, dispiegandosi per 11 metri in cartoncino nero con fogli di carta giapponese. Il formato leporello si presta in modo naturale alla fluidità delle immagini e alla successione degli haiku, richiamando gli antichi emakimono giapponesi. I materiali e le tecniche impiegate sono il suminagashi (pittura acquatica con inchiostro su carta giapponese) e il sashiko (ricamo poetico con filo rosso). Un elemento distintivo del progetto è l’accompagnamento di un “bastone sonoro” che evoca il suono dell’acqua, richiamando l’haiku più celebre di Bashō: “Vecchio stagno, una rana si tuffa, suono dell’acqua”.

Successivamente il libro d’artista si configurerà come libro in brossura fresata, così come lo vedete in fotografia, e come arriverà a casa vostra scrivendo direttamente alle autrici a questi indirizzi:

florianaporta@libero.it 

annamariascocozza@libero.it 

Ma cos’è il suminagashi?

Una tecnica artistica che si contraddistingue per la raffinata eleganza dell’acqua e dei colori che si espandono sulla sua superficie, trasmettendo un senso di pura connessione con il mondo. Questa l’essenza dello Suminagashi, letteralmente “l’arte dell’inchiostro fluttuante”, antichissima tecnica artistica che si è diffusa poco dopo l’anno 1000 in Giappone, presso la corte dell’imperatore.

La sua tecnica è molto semplice. Si scioglie un po’ di sumi (inchiostro) in una pietra d’ardesia da calligrafia e se ne raccoglie una goccia con un pennello morbido. Si appoggia poi la punta del pennello sulla superficie d’acqua contenuta in un recipiente largo e piatto, al fine di formare una piccola macchia nera. Con un altro pennello, intinto in una sostanza leggermente oleosa, si tocca poi la macchia in modo da farla espandere verso l’esterno, e alternando l’uso dei due pennelli si fa in modo di creare disegni rappresentanti tematiche naturalistiche, come fiori, cieli o colline. Si raccoglie infine l’immagine ponendo sull’acqua un foglio bianco fino a completo assorbimento. L’acqua rimane,  dunque, pulita e tutto il disegno si trasferisce fra le fibre della carta. Il disegno e il risultato finale ottenuti attraverso questa tecnica non vengono premeditati e decisi unicamente dall’artista. Il movimento che l’inchiostro fa sull’acqua infatti, si stabilisce solo nel momento in cui questo viene allargato attraverso il pennello e dipende sia dallo stato d’animo momentaneo dell’artista, sia dal movimento causale dell’acqua: non è solo l’artista dunque a esprimere il suo pensiero ma anche le forze naturali, impossibili da controllare. Diverse le interpretazioni quindi. Inizialmente, questa tecnica aveva uno scopo divinatorio: si credeva infatti che, attraverso le tracce di inchiostro diluite nell’acqua, si potesse leggere il futuro; oggi invece il disegno finale è più che altro considerato un dipinto dove sono impresse le emozioni dell’artista e il suo subconscio. (Da “In a bottle”)

E il Sashiko?

Il punto Sashiko è innanzi tutto un punto fatto a mano. Una delle caratteristiche più importanti e peculiari di questa tecnica di ricamo, sono appunto le sue leggere imperfezioni tipiche di un lavoro eseguito manualmente. La caratteristica principale del Sashiko è la linearità dei punti, che vanno dai 3 millimetri al centimetro, a seconda dello stile, del tessuto e dell’enfasi che l’esecutore vuole dare. Per questo il punto Sashiko visivamente ricorda molto il classico punto di imbastitura o punto filza, ma in realtà non è come sembra, perché è realizzato con una tecnica di cucitura veloce, che ne scandisce il ritmo e facilita la linearità dei punti.

La tecnica del sashiko nasce proprio per riparare i tessuti logori in modo economico ma al tempo stesso esteticamente gradevole, ed evitare così di acquistare nuovi vestiti. Per comprendere l’origine di questa tecnica di ricamo dobbiamo tornare indietro al periodo Edo (1615 – 1868), un’epoca in cui vestiti e tessuti nuovi rappresentavano un lusso per la maggior parte della popolazione giapponese. Il punto in cui il tessuto era liso o bucato veniva rinforzato con uno scampolo di stoffa vecchia, cucito con punti “a vista” che diventavano decorativi. Il sashiko veniva utilizzato anche per rinforzare e rendere più resistenti abiti da lavoro o da battaglia – come quelli utilizzati dai manovali, dai vigili del fuoco o dai soldati.

La parola giapponese sashiko (刺し子) si traduce come “piccoli colpi”: il ricamo finale, infatti, è ottenuto ripetendo piccoli punti costituiti da linee semplici, fino a creare un motivo geometrico complesso che può espandersi all’infinito. Il filo utilizzato per il sashiko non è normale filo da ricamo: si tratta, invece, di un filato più resistente e spesso, costituito da fibre di lino o cotone, che garantisce una maggiore durabilità all’intero lavoro. Esistono varie tipologie di sashiko che si differenziano per linee, tratti e i colori dei fili utilizzati. (Da “Green me”)

“Albero Viaggiante” è un’esperienza sensoriale e meditativa che trascende la mera lettura, invitando il lettore a un viaggio contemplativo nel cuore della cultura e della spiritualità giapponese. L’intento delle autrici è di “condividere con il pubblico l’essenza di questa fusione tra arte, poesia e tradizione giapponese”.

  • Interconnessione tra arti

Il punto di forza del libro risiede nella sua capacità di far dialogare linguaggi artistici diversi. Gli haiku di Floriana Porta non sono semplici testi, ma si fondono con le creazioni visive di Anna Maria Scocozza, creando “un dialogo sottile”. Come afferma Rossella Marangoni nella bellissima prefazione che impreziosisce il libro, “le poesie brevi (haiku) di una poetessa dialogano con l’inchiostro e i fili di un’artista pittrice e maestra della carta”. Questa sinergia è evidente nella descrizione delle tecniche: il suminagashi, in cui “l’inchiostro si posa sull’acqua come un soffio: si espande, si frantuma, si dissolve”, e il sashiko, che con i suoi “piccoli punti” ricompone e rafforza, offrendo un “rammendo spirituale e lirico”. Il contrasto tra l’effimero dell’inchiostro e l’immutabilità del ricamo è un tema centrale, sottolineando l’impermanenza e il mutamento perpetuo della natura e dell’esistenza umana.

  • Omaggio a Matsuo Bashō e al concetto di viaggio

Il titolo stesso, “Albero viaggiante”, evoca la natura nomade e in continua evoluzione di Matsuo Bashō, a cui l’opera è dedicata. Floriana Porta approfondisce questo concetto, descrivendo lo haiku come un “viaggio nel mondo naturale e nell’universo emotivo”. La sua poesia, come quella di Bashō, è una “poesia del viandante” che “favorisce… la possibilità di aprirsi e prendere coscienza del proprio mondo interiore”. Gli haiku presenti nel libro, come “un lungo viaggio – e nel proprio andare la carne trema”, o “chiome d’alberi – nel bosco intricato passi silenti”, evocano immagini di cammino e introspezione, rispecchiando l’essenza del poeta giapponese.

  • Profondezza concettuale e filosofia Zen:

Il libro non è solo esteticamente pregevole, ma anche concettualmente ricco. Il suminagashi, radicato nella filosofia Zen, è descritto come una “meditazione attiva, un lasciarsi andare al movimento imprevedibile del mondo. Non conta il risultato, ma il viaggio, la presenza nel momento”. Questa enfasi sul processo piuttosto che sul prodotto finale, e sull’accettazione dell’effimero (“mondo fluttuante – cristallizzo l’istante e l’effimero”), è un richiamo costante alla caducità e alla bellezza del presente. L’arte, in questo contesto, offre “la capacità di fermarci e lasciarci attraversare dalla bellezza del presente”.

Albero viaggiante è un’opera di grande valore e suggestione, la sua natura di “libro d’artista” in edizione limitata forse lo rende meno accessibile a un pubblico ampio, tuttavia, questo aspetto contribuisce alla sua unicità e al suo pregio. Si presta, infatti, ad essere un dono prezioso per chi lo riceve o per sé stessi. La ricchezza dei riferimenti culturali e filosofici richiede una certa predisposizione alla contemplazione e all’approfondimento, ma le autrici offrono chiavi di lettura sufficienti per guidare anche il lettore meno esperto. Io stessa, che conoscevo solo parzialmente la tecnica del suminagashi e non conoscevo per niente il sashiko, ne sono rimasta sinceramente affascinata e grazie a loro ho potuto approfondire.

In sintesi, “Albero Viaggiante” è un’opera magistrale che celebra l’incontro tra diverse forme d’arte e la profondità della poesia giapponese, offrendo un’esperienza immersiva e un invito alla riflessione sull’impermanenza, la natura e la bellezza del momento presente. È un “progetto polifonico dal quale, tuttavia, si erge il canto di una sola voce”, una voce che sussurra silenzio e incanto.

Valentina Meloni 29/05/2025

“Una musica suona” su Haiku Commentary

Ieri ho ricevuto questo splendido commento al mio haiku inedito assieme ai bellissimi haiku di Kala Ramesh e M. R. Defibaugh altrettanto egregiamente commentati.
L’haiku scelto nasce in lingua inglese pertanto la traduzione italiana non rispetta la sillabazione.

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una musica suona:
l’aria dolce racchiude un desiderio
per ciò che potrebbe essere

— Valentina Meloni (Italia)

Commento di Jacob D. Salzer:

Come musicista, apprezzo l’atmosfera dinamica di questo haiku. Ammiro il modo in cui questo haiku include suoni, profumi e forse un sesto senso, o il senso del desiderio. Mi piace il fatto che la musica non sia definita, il che permette a noi lettori di ascoltare diversi tipi di musica. “Una musica suona” mi dà la sensazione che la musica sia sconosciuta, e forse percepita a una certa distanza. Credo che questo aggiunga profondità spaziale e psicologica a questo haiku. Quando leggo il secondo verso, immagino di inalare il profumo di un fiore (o forse di diversi tipi di fiori) dal profumo dolce, anche se mi piace come il poeta abbia lasciato questo profumo dolce aperto al lettore. Mi piace anche come l’aria dolce implichi vento o una brezza leggera che si combina con la musica. Attraverso la musica e il profumo, il poeta riesce a lasciare spazio al mistero. Forse la cosa più importante è che questo haiku mostra il potere della musica e la sua capacità di ispirarci e infonderci speranza in un modo che trascende parole e pensieri. Per me, tra tutte le forme d’arte, la musica continua a essere la più potente espressione creativa dello spirito umano. Questo haiku esprime efficacemente questo sentimento, con grazia, bellezza e mistero. Un haiku meraviglioso.

Le parole accanto -letture poesie

Ieri sera alle ore 21 su PuntoZip – La cultura in un piccolo spazio per lo speciale Giornata Internazionale della Poesia Michela Zanarella legge anche due miei inediti. Con il cantautore Corrado Coccia. Clicca sul video per ascoltare.