“Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;/ ritira le unghie nelle zampe,/ lasciami sprofondare nei tuoi occhi/ in cui l’agata si mescola al metallo.”
Chi non riconosce questi famosissimi versi in cui si paragona l’amore verso una donna a quello per un gatto? Sono del poeta francese Charles Baudelaire, di cui il prossimo 9 aprile ricorre il centonovantaquattresimo anniversario di nascita. Secondo l’autore de I fiori del male, libro che creò uno scandalo enorme ai suoi tempi tanto da portare il poeta in tribunale, gli occhi dei felini e quelli delle donne sono simili: freddi, profondi e ammaliatori.
Un altro poeta maledetto Paul Verlaine, nato più di vent’anni dopo, ha paragonato le donne ai gatti in questi versi, forse meno celebri, ma certamente non meno graffianti:
“[…] Lei nascondeva – la scellerata – sotto i guanti di filo nero/ le micidiali unghie d’agata/ taglienti e chiare come un rasoio./ Anche l’altra faceva la smorfiosa/ e ritraeva i suoi artigli d’acciaio,/ ma il diavolo non ci perdeva nulla/ e nel boudoir, in cui tintinnava, aereo,/ il suo riso, scintillavano quattro punti fosforescenti.”
Grande amante dei gatti, Baudelaire ha dedicato molti versi, tutti contenuti nella raccolta Spleen e Ideale, a questi animali misteriosi e affascinanti. Celebre anche la poesia in cui definisce le loro pupille mistiche
“[…]le loro reni feconde sono piene di magiche scintille/ e di frammenti aurei; come sabbia fine scintillano vagamente/ le loro pupille mistiche.”
in un’altra ancora le descrive come “viventi opali”, incorona il gatto a proprio genio tutelare e lo paragona a una fata o a un dio
“[…]È lui il mio genio tutelare!/ Giudica, governa e ispira/ ogni cosa nel suo impero;/ è una fata? O forse un dio?/ Quando i miei occhi, attratti/ come da calamita, dolci si volgono/ a quel gatto che amo/ e guardo poi in me stesso,/ che meraviglia il fuoco/ di quelle pallide pupille,/ di quei chiari fanali, di quei viventi opali/ che fissi mi contemplano!”
oppure qui a un angelo
“[…] Tutto in te, come in un angelo, / è sottile ed armonioso!”
Ed è uno “Strano angelo,/ che cammina sui tetti dei sogni/ “ il messaggero felino di nome Ange che accompagna il poeta Giorgio Bolla entro i confini di sogno della poesia.
“E così Ange ed io/siamo nel grande spazio/ quando la vela/corre la strada/fatta di acqua e pensieri,/ al di là del nulla.”
Un gatto Ange che richiama l’Angelo, quel messaggero o nunzio intermedio tra Dio e gli uomini che sempre è la Poesia così scrive Plinio Perilli nella prefazione al poemetto “Storie di acqua, di angeli e di vento”
“Ange naviga / sulle grandi onde del /letto/ spudorate estati/ nel volgo del cuore;/ non è di tutti/ la poesia/ e Ange lo sa/ così naviga/ sulle grandi nubi di panna/ della libertà”.
Non è di tutti la poesia ma appartiene certamente al gatto, musa e allo stesso tempo nunzio, creatura facente parte della dimensione del sogno e al medesimo tempo regnante su di essa:
“Titolare il sogno/sulle tue zampette morbide/ e felici, ossute nei contrasti/ del gioco/ quando su bave/ di cielo/ arrotondi il tuo andare/ fra mura e porti,/sotto siepi spaccate/ dal nulla.”
Sogno nel quale la fisicità viene continuamente evocata da un tocco, un gesto tangibile e concreto ma sempre con quella dolcezza, quell’alone rarefatto di mistero che contraddistingue la movenza felina:
“Ange cerca/ le mie mani/ nelle notti costellate/ dai fantasmi/ del metasogno,/ forme di colline/ nella neve/ del furore/ o della dolcezza.”
Movenze che possiedono un ritmo di musica, quasi una danza da palcoscenico, perché il gatto sa che la vita è una rappresentazione scenica del teatro del sogno.
“La musica del mio gatto/ scivola su passeggiate/ tigresche/ perché lui propone/ violenti scenari/ di teatro/ o schiocchi di sangue,/ rutilante nel mattino/ dove vivono le folaghe/ volate di là dal mondo/ o assetate di sabbie/ da deserti voluti.”
Anche Pablo Neruda, come noi tutti del resto, era rimasto affascinato dal languido torpore del gatto:
“[…]Dormi, dormi, gatto notturno / con i tuoi riti di vescovo,/ e i tuoi baffi di pietra:/ ordina tutti i nostri sogni,/ guida le tenebre delle nostre /addormentate prodezze/ con il tuo cuore sanguinario/ e il lungo collo della tua coda.”
La frase di Jean Burdien, poeta contemporaneo americano “Un cane è prosa, un gatto è poesia” la dice lunga sul rapporto tra poeti e gatti: il linguaggio poetico appartiene al gatto per diritto acquisito d’espressione.
“[…] il poeta cerca di imitare la mosca,/ ma il gatto/ vuole essere solo gatto/ ed ogni gatto è gatto/ dai baffi alla coda,/ dal fiuto al topo vivo,/ dalla notte fino ai suoi occhi d’oro.[…]
Scrive Pablo Neruda nella sua Ode al gatto anch’egli ammaliato da queste antiche creature.
Guillaume Apollinaire, invece, si augurava di avere un gatto a passeggio tra i libri
“Io mi auguro di avere in casa mia:/ una donna provvista di prudenza,/ un gatto a passeggio fra i libri,/ e in tutte le stagioni amici/ di cui non posso far senza.”
Un po’ come quello dello scrittore e poeta Tiziano Fratus che nella sua ultima raccolta “Un quaderno di radici” scrive la deliziosa Poesia del gatto invisibile
“Di qua è passato un gatto/ se abbassate il naso/e chiudete gli occhi,/ lo potete sentire,/ l’odore del gatto/ che s’è fermato su questo verso strusciandosi./Qua ha giocato un gatto, se chiudete gli occhi/ e passate i polpastrelli/su queste parole/ lo potete percepire, i resti della sua anima/arruffata come il pelo che ha dimenticato./ Qui ha mangiato un gatto/ se chiudete o non/ chiudete gli occhi/allungate la punta della lingua/-così (pausa)-/ raccoglierete/ i pezzi di cibo/ che non piace a tutti./ Qua è transitato un gatto/ e se proprio/ non lo riconoscete/ vuol dire che non/siete mai appartenuti ad una bestia, /o che siete specialmente, scarsi in fantasia/. Ma non c’è/ di che preoccuparsi,/ per la maggior parte/ del loro tempo/ i gatti sono convinti/ d’essere invisibili/a Dio e al resto del mondo, /fatto e finito”
Poeti e scrittori di ogni tempo incantati dalla loro eleganza, indipendenza, dal loro incedere sfingico in quel confine intangibile di spazio tra sogno e realtà, hanno subito il fascino felino da cui hanno tratto spunto e ispirazione. Avrà avuto peso, chissà, anche l’antica credenza che vuole un manoscritto morso da un gatto destinato al successo? “Se volete scrivere, tenete con voi dei gatti” rispondeva il poeta Aldous Huxley ai suoi allievi che gli chiedevano il segreto per avere successo in letteratura.
Il gatto è stato cantato da molti altri poeti di ogni epoca da Keats a Rilke, da Edmond Rostand a William Butler Yeats, da Fernando Pessoa a Umberto Saba, da Jorge Luis Borges a Algernon Charles Swinburne, da Gianni Rodari a Stefano Benni …
Di quest’ultimo autore, in particolare, mi ha colpito una poesia, dedicata, guarda caso, proprio ad una gatta di nome Nuvola, una micia “che non invecchia mai”.
“O regina del giardino/ tigre del ragù/ lampo che sbrana/ la più veloce carne in scatola/ altera anche quando/ mordicchia una piattola/ o guru crepitante/ di fusa nel nirvana/ con la coda allontani/ i complimenti plebei./ Nella tua pelliccia, per cui/ nessun amante pagò/ nella tua bellezza, per cui/ gatti a decine/ di orrende serenate/ atterriscono la luna/ o sonnacchiosa sovrana/ o Nuvola, gatta/ che non invecchia mai/” (da Prima o poi l’amore arriva)
sarà la stessa gatta Nuvola che cantava il poeta giapponese Bashō Matsuo più di tre secoli fa?
da “Gatti” ed. Acquaviva a cura di Giuseppe D’Ambrosio Angiolillo
Del resto come si può resistere alla tentazione di dedicare dei versi a queste creature così affascinanti?
Francesco Petrarca pare che amasse moltissimo il proprio gatto e Torquato Tasso, uno dei più grandi poeti del Cinquecento, scrisse Sonetto per i miei gatti in cui chiedeva alla sua micia di prestargli gli occhi per poter scrivere anche di notte. Il grande poeta e premio Nobel americano Thomas Stearns Eliot nella raccolta Old Possum’s Book of Practical Cats (Il Libro dei Gatti Tuttofare) mette su carta un vero e proprio repertorio felino: gatti singolari, bizzarri, gatti energici, gatti indaffaratissimi… I protagonisti di questa deliziosa raccolta di poesie vivono nei vicoli dei bassifondi londinesi: Gumbie Cat, Growltiger, Rum Tum Tugger, Jellicles, Rumpelteazer, Old Deuteronomy, Mister Mistofele, Bustopher Jones, e così via, ma sul loro nome, come dice l’autore, non si può mai essere sicuri. E’ a questi versi che si ispira il notissimo musical di Andrew Lloyd Webber “Cats”, lo spettacolo teatrale più replicato di tutti i tempi.
“Mettere un nome ai gatti è un’impresa difficile, / Non un gioco dei tanti che fate nei giorni di festa; Potreste dapprima anche pensare che io sia matto da legare/Quando vi dico che un gatto deve avere tre nomi diversi./ […] Sempre nomi sensati da usare ogni giorno. / Ma io vi dico che un gatto ha bisogno di un nome che sia particolare,/ Caratteristico, insomma, e molto più dignitoso,/ Come potrebbe altrimenti tenere la coda diritta,/O mettere in mostra i baffi, o sentirsi orgoglioso?[…] Quando vedete un gatto in profonda meditazione,/ La ragione, io vi dico, è sempre la stessa:/ La sua mente è perduta in estatica contemplazione/ Del pensiero, del pensiero, del pensiero del suo nome:/ Del suo ineffabile effabile/ Effineffabile/ Profondo e inscrutabile unico Nome.(da Il nome dei Gatti)
I nomi dei gatti non si possono dimenticare, forse perché mentre per l’uomo il nome è un presagio (nomina sunt omina),per il gatto il nome è una sorpresa, qualcosa che si fa ricordare. Il nome che più amo ricordare, oltre a quello della mia gattina scomparsa (Minni), di cui ovviamente anch’io ho scritto, è Delilah (in italiano Dalila) la gatta soriana che accompagnò il cantante Freddy Mercury per lungo tratto della vita, fino alla sua scomparsa, e che egli amava a tal punto da dedicarle una canzone omonima, contenuta nel famoso album dei Queen “Innuendo”. Alcuni, non conoscendo l’amore di Freddy per i felini, credettero che la canzone raccontasse di una storia d’amore, che Delilah fosse una donna …invece si trattava proprio di un’ode alla sua piccola amica gatta.
“Delilah, Delilah, oh amore mio, sei irresistibile. Mi fai sorridere quando mi viene da piangere, mi dai speranza, mi fai ridere, ti piace tanto. La faresti franca anche per un omicidio, così innocente. Ma quando metti il broncio sei tutta artigli e morsi. Va bene! Delilah, oh amore mio, oh mio, sei imprevedibile. Mi fai così felice. Quando ti raggomitoli per dormirmi accanto. E poi mi fai ammattire. Quando fai pipì sul mio salotto Chippendale. Delilah, Delilah. Sei tu a comandare in casa e in famiglia. Cerchi persino di rispondere al telefono. Delilah, sei la pupilla dei miei occhi. Miao, miao, miao. Delilah, ti amo.Oh, mi fai felice, mi baci. E io vado fuori di testa, ooh Miao, miao, miao, miao. Sei irresistibile – ti amo. DelilahDelilah – ti amo. Oooh, adoro i tuoi baci.”
Certo, noi eravamo soliti cantare c’era una volta una gatta che aveva una macchia nera sul muso e una vecchia soffitta vicino al mare con una finestra a un passo dal cielo blu… La gatta di Gino Paoli non pare avesse un nome ma noi tutti la ricordiamo: un pezzo rigorosamente autobiografico che parla della soffitta sul mare dove Gino viveva. Il disco vendette 119 copie, poi scomparve e infine tornò tramutandosi, inaspettatamente, in un successo da centomila copie la settimana. Sono passati quasi sessant’anni e ancora cantiamo…
Doris Lessing aveva un gatto che si chiamava Butchkin El Magnifico, a lui la scrittrice ha dedicato il libro “La vecchiaia di El Magnifico”. “Tyke” invece è il nome del gatto di Jack Kerouac che viene descritto nel romanzo Big Sur. Lo scrittore che, durante gli ultimi anni della sua vita visse con un’intera famiglia di gatti, considerava Tyke come un fratello e quando morì, cadde in una profonda depressione. Anche Charles Bukowski aveva un gatto, si chiamava Factotum. Dei gatti lo scrittore sregolato amava il dolce far niente, e infatti ha dedicato loro una poesia intitolata My Cats in cui scrive: “[…] they can sleep 20 hours / a day/ without/ hesitation or/ remorse.[…]”
Lo scrittore Hernest Hemingway amava moltissimo i suoi gatti, trenta in tutto, occupavano un intero piano della sua casa di Key West. Anche lo scrittore americano Mark Twain adorava i gatti, molte delle sue storie per bambini avevano come protagonisti felini dai nomi strani; Kipling, autore del Libro della Giungla, scrisse molte storie sui gatti. Tutti questi personaggi erano in ottima compagnia, impazzivano per i gatti anche sir Walter Scott, Checov, Miguel De Cervantes e Alexander Dumas, pensate che il celebre autore dei Tre moschettieri amava affermare che il gatto doveva essere trattato come un aristocratico.
Ce ne sono moltissimi altri che si sono fatti ritrarre con i loro gatti (galleria foto) e moltissimi sono anche i racconti e le storie di gatti narrate da autori celebri e sconosciuti tra cui Hippolyte Taine, Ambroce Bierce, Guy de Maupassant, Charles Morlay, William Alden, Mary Freeman, Pierre Loti, Saki, Frederic Stuart Greene e molti altri ancora.
Robertson Davies, autore canadese scomparso nel 1995, ha cercato di spiegare l’amore degli scrittori per i gatti così: “Agli scrittori piacciono i gatti perché sono creature tranquille, amabili e sagge. E ai gatti piacciono gli scrittori per la medesima ragione”
Che agli scrittori piacciono i gatti è un dato di fatto ma, siamo proprio così sicuri che ai gatti piacciono gli scrittori?
Non solo in letteratura e nel panorama musicale, ma anche nell’arte figurativa i gatti sono da sempre fonte di grande ispirazione: dipinti, statue, fotografie ritraggono attimi dell’intenso rapporto che ha legato molti grandi artisti al loro specialissimo felino. Tutti questi artisti hanno voluto rendere omaggio non soltanto alla funzione iconografica e simbolica che il gatto ha sempre avuto nella cultura, ma all’intimità della relazione con il proprio animale da compagnia.
Paul Klee, pittore tedesco che ha lasciato un’impronta profonda nell’arte della prima metà dello scorso secolo, amava moltissimo i gatti: tre quelli che lo hanno accompagnato nella vita, segnando altrettante importanti fasi della sua esistenza. Klee, scrive, parla, racconta, ma soprattutto li ritrae con il suo personalissimo stile. Ricalcando le orme del poeta Baudelaire, Klee descrive il suo primo gatto, Nuggi, adottato in un viaggio in Italia, come lo “spirito della casa”, una presenza fantasmatica che pervade e presidia, anima e custodisce, la sua abitazione. Il secondo si chiama Fritzi, un grande gatto tigrato, che attende il pittore nella casa di Monaco durante la prima guerra mondiale; in alcune poesie Klee lo chiama il “dio felino”. L’ultimo gatto si chiama Bimbo, bianco di razza angora, vive con il pittore negli ultimi dieci anni della sua vita. Per Klee è l’angelo della morte, una figura carica di simbologia, di mitologia egizia, che lo accompagnerà nel viaggio verso l’aldilà: il custode della soglia, definito da egli stesso come il “gatto cosmico”, colui che si trova nella zona di confine tra l’esistente e il non esistente, figura mitica che ha accesso e dà accesso alla trascendenza.
Questa carica simbolica della figura felina ha una forte analogia con la funzione che l’artista visivo, ma anche il poeta, assegnano all’opera, quella cioè di non riprodurre semplicemente il reale, ma di dare forma all’impercettibile, di rendere manifesto e visibile anche ciò che non lo è.
La stessa funzione che la poeta Nicoletta Nuzzo nei suoi libri “Un gatto senza vanità” e “Cronache di un gatto perfezionista” assegna al gatto Ugo, custode della soglia fra Nicoletta, amica e complice, e il Mondo dell’Oltre. Uno spazio gravido di presenze ispiratrici invisibili che tutti gli artisti conoscono: il mondo delle “Onde” di Louis Ferdinand Céline aperto solo alle donne, ai bambini e ai gatti. (dalla prefazione di Marina Alberghini dell’Accademia dei gatti magici). In questo spazio Nicoletta si apre ad un dialogo tra il fantastico e il realistico, si abbandona e si confessa nella sofferenza della ricostruzione di sé al gatto Ugo in prosa:
“Racconto per la prima volta queste cose a te perché penso che tu possa immaginare meglio di chiunque altro la mia sofferenza. La puoi percepire ma per differenza perché invece Ugo tu sei il tuo corpo. Tu sei stato sempre unito, per natura. Le tue nevrosi sono forti disagi ma non ti dividono. Per te Ugo che vivi nella penombra, è impossibile concepire che si possa separare la luce dall’ombra e se anche si potesse fare per via di qualche strana invenzione, ti spaventi al solo pensiero delle conseguenze.”
e in poesia:
“Ugo sei immobile davanti alla finestra,/la tua sagoma è morbida,/ sei bello non è un problema/ non è vanità/ sei bello e basta,/ il tuo esserci è denso e trasparente/e allora tu puoi contemplarti senza distruggerti/ ed io ti posso guardare e amare/senza che tu svanisca.”
Chissà perché poi i gatti stanno sempre fermi sulla soglia, che non puoi aprire del tutto la porta e neppure chiuderla, che la penombra lasciata dal taglio di luce che filtra, si mescola all’ombra felina, e entrambe si allungano all’infinito, creando uno squarcio, un passaggio, sul quale i comuni mortali hanno paura di posare i piedi.
“Ho imparato da te/ a stare sul bordo/ dove la materia si addensa/ e unisce i luoghi/ ho imparato dai tuoi occhi/ che il corpo ha/ luci ed ombre innocenti/ ho imparato dai tuoi passi/ a camminare/ dentro ai segreti.” (da Ode al gatto, Un Gatto senza vanità)
Il gatto del resto è una figura mitologica ma vivente, potremmo credere di afferrarne i segreti, dal momento che l’ abbiamo sotto i nostri occhi, ma ci rendiamo conto che ciò è impossibile, il perché ce lo spiega in poche righe H. P. Lovecraft nel racconto I gatti di Ulthar:
“Il gatto infatti è un essere enigmatico, affine ai fenomeni misteriosi che l’uomo non riesce a vedere. E’ lo spirito dell’antico Egitto, custode di storie provenienti dalle città perdute di Meroe e Ofir. Appartiene alla stirpe del re della giungla e porta in eredità i segreti dell’Africa antica e oscura. La Sfinge è sua cugina e parla la sua stessa lingua, ma il gatto è molto più vecchio di lei e ricorda cose che la Sfinge ha ormai dimenticato.”
Anche Guy de Maupassant si lasciò ammaliare dal gatto e ne racconta i particolari nel suo racconto Sui gatti:
“Mi svegliai e non fui troppo sorpreso di sentire sotto la mia mano qualcosa di caldo e di dolce che accarezzavo amorosamente. Poi, una volta recuperata la lucidità, mi accorsi che era un gatto, un grosso gatto che, raggomitolato contro la mia guancia, dormiva tranquillo. Ve lo lasciai e feci come lui. Quando si fece giorno, era andato via; e credetti veramente di averlo sognato, perché non capivo come avrebbe potuto entrare nella mia stanza, e uscirne, visto che la porta era chiusa a chiave.”
Una creatura terrena e ultraterrena insieme, con cui perfino Emile Zola non resiste ad instaurare una conversazione e, nel racconto Il paradiso dei gatti, si fa narrare dal gatto d’angora, lasciatogli in eredità dalla zia, la storia della sua vita. Il felino, dopo aver raccontato al nuovo padrone le peripezie sui tetti e la vita da randagio, allungandosi davanti alla brace del camino, concluderà:
” Vedete la vera felicità, il paradiso, mio caro padrone, è essere rinchiuso e battuto in una stanza dove c’è della carne. Io parlo per i gatti.”
Una metafora arguta, quella di Zola, lasciata alla riflessione del lettore, innescata da un abile espediente letterario: dare la parola al gatto …
Cari lettori, tutto questo e molto altro è stato scritto da un gatto e, se non mi credete, è solo perché non avete mai provato a scrivere, gommini sul mouse, con un gatto nei paraggi.
Gatti, poesia, misticismo… i guardiani della soglia… Presenze silenziose e sagge… Mai parole furono più adatte per descrivere questi compagni di viaggio che hanno fornito ispirazione a poeti, pittori e artisti di ogni epoca.. Chiunque abbia convissuto con loro sa riconoscere la loro aura misteriosa e rassicurante…
Complimenti per questo saggio che riesce a racchiudere non solo i tanti legami che accomunano artisti di ogni tempo ai gatti, ma che rivela anche le tante benefiche sensazioni ricevute da chiunque abbia avuto il privilegio o la fortuna di trascorrere parte della propria vita con loro…
Federico
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Grazie Federico e questo post lo dedico certamente alla nostra amica Melissa…
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Grazie a te per aver raccolto e messo nero su bianco queste bellissime sensazioni… 🙂
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…ho un debito di bellezza e trascendenza con i gatti, con loro la possibilità di ricongiungersi a forze primordiali e rigeneratrici e ad un immaginario da cui trarre ispirazione …dove la gatta di scrittura, gatta-istinto-inconscio scrive sul corpo-carta.
Grazie a Valentina ed alla sua scrittura felina…
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Ti ringrazio per la visita carissima Nicoletta saluti a Ugo e alla gatta di scrittura che è in te 🙂
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