“Scrivo versi nell’ombra
e vado in cerca della lingua perduta delle donne”
Recita così la quarta di copertina di Landai, libricino edito da EraNuova per la collana Melete di Poesia. Autrice di questa plaquette Silvana Sonno che si appropria della forma poetica di ribellione delle donne afgane e ne fa voce nuova.
Landai è il titolo della raccolta e contiene sessantatré composizioni landai in distici di ventidue sillabe: il primo verso di nove, il secondo di tredici. In lingua Pastho landai significa “piccolo serpente velenoso” ed è una definizione che già da sola ci fa comprendere la caratterizzazione di questo versificare.
La poesia pasthun ha una lunga storia come forma di ribellione delle donne afgane e, il landai, che è un genere prettamente femminile, è una poesia popolare dai toni arrabbiati, irriverenti, diretti, tragici o buffi, sensuali, molto concreti, a volte persino sboccati ma che arrivano subito a segno.
Nell’introduzione tratta da Plurale femminile M.G. Di Rienzo spiega come un landai, essendo poesia di rivolta, perda la sua origine non appena è recitato: esso non appartiene neppure a chi lo crea, le donne dicono di “ripeterlo” o di “condividerlo” anche quando ne sono le autrici.
Ed ecco che la lingua perduta non è perduta. A Kabul esiste un’associazione di cui fanno parte intellettuali e insegnanti che hanno una vita pubblica, ma le restanti socie sono a tutti gli effetti membri di un’organizzazione che somiglia a una setta segreta… Esse recitano le poesie che non hanno il permesso di creare e una volontaria che aspetta le chiamate in orari concordati, anch’ella poeta, trascrive i versi dettati al telefono.
Silvana Sonno recupera, attraverso i suoi distici, non solo la metrica e lo stile del landai, ma anche la finalità, in un certo senso. “Una scrittura che è atto cospirativo contro società -la loro, ma anche la nostra, pur con le dovute differenze- che negano alle donne l’esperienza dell’amore, della bellezza, del desiderio, nella libertà.” scrive ad apertura dei componimenti.
Alcune di queste poesie fanno riferimento alle vittime di femminicidio della cronaca italiana, e seppure sono poche, non potevo non aspettarmi una poesia come atto di denuncia da una delle socie fondatrici della Rete donne AntiViolenza onlus di Perugia.
A circa metà libro troviamo i distici dedicati a Elisa Klapps, Simonetta Cesaroni, Lucia Annibali. Quest’ultimo in particolare mi ha colpito per il messaggio di speranza che porta ed è tristemente attuale a causa dei fatti di cronaca tornati alla ribalta tramite la giornalista Franca Leosini che si è occupata del caso sollevando molte polemiche.
“Sfigurata dall’acido
sei ancor bella, mentre sfidi il dolore col sorriso.”
Silvana Sonno però non desidera indulgere su questo versante e ci tiene a precisare che nella poesia deve potersi ritrovare lo stato e la “sorte” dei viventi, e così è.
I distici di Landai sono frammenti di specchio che ci rimandano piccoli squarci di vissuto: di sentimento, di rabbia, d’ironia, di passione, di malinconia, di speranza, di tutte quelle cose che compongono il disegno grande dell’esistenza di una donna, disegno che lega a filo stretto gli uomini, bersagli o protagonisti, compagni o nemici, ma anche altre figure femminili di sorellanza.
“Lui ha preso il mio corpo.
Sorelle, la mia anima nuda chiede asilo.”
I versi conservano tutte le caratteristiche di un morso avvelenato: sono brevi, taglienti, a volte contradditori, sorprendono nel finale. Spesso tra il primo e il secondo verso c’è un ribaltamento di senso o una cesura che spezza la continuità della lettura. Il morso, che possiede la duplice caratteristica- può essere dolce ma anche avvelenato- suggerisce la dualità di questa poesia che, come un lampo, intende illuminare una realtà taciuta o clandestina.
“Amato, tra le tue braccia
libero in spire i miei versi. Veleno e miele.”
La poesia è un atto civile che si muove nelle cose del mondo e leggendo questi morsi velenosi si avverte un risveglio di coscienza che fa del verso una dichiarazione di presenza attiva, un po’ assopita forse nel nostro modo di poetare, soprattutto al femminile a mio avviso, e invece qui riscoperta, ritrovata, come una lingua madre da adottare per fare strada al cambiamento che vogliamo essere.
“La poesia mi salverà
mi solleverò innanzi a te vestita di parole”
Questo piccolo libro, corredato dalle delicate illustrazioni di Iolida Tizzi su ogni pagina, è poesia viva, una poesia orale, qui riscattata in veste grafica, ma essenzialmente orale, e quindi ancora più importante perché ritorna alle funzioni antiche della recitazione, del mandare a memoria, della condivisione e trasmissione non di un sapere ma di un essere che si esplicita nella parola.
Landai ci ricorda quanto importante sia fare poesia, in tempi in cui possiamo aver acquisito la libertà di scrivere e leggere -oppure no- la poesia manifesta ciò che siamo e ci fa esistere, anche nell’anonimato se c’è bisogno…
La brevità di questi versi è bellezza pura, laddove la poesia è sintesi del pensiero, questi distici sono frecce scagliate da lontano; il landai è fatto di un’espressività intensa che non indulge a poetismi o a figure retoriche ricercate, ma che trattiene al suo interno una potenza lirica che scuote profondamente.
“Uccelli felici tra i rami.
Salirò sopra un albero e vi farò il mio nido”
[ n a n i t a ]
Questa recensione è stata pubblicata originariamente sul num. 19 della rivista di Letteratura Euterpe. Per leggere tutto il numero clicca sull’immagine
https://iulamarzulli.wordpress.com/2015/04/10/landay_canti-dallafghanistan/
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Grazie Iulia per il tuo interessante articolo lo leggerò con maggiore calma, merita. mi sono iscritta al tuo canale per conoscerti meglio ciao buona giornata
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