Ho ritenuto interessante riportare tre pensieri di Alexander Shurbanov sulla Traduzione precedentemente pubblicati nella rivista Antonym a questo link nella versione inglese d’autore.
Talvolta l’attività di traduzione letteraria comporta il trasferimento, tra due lingue, di una parola o di una frase che porta con sé un’importante memoria culturale. Spetta al traduttore trovare nella lingua di destinazione l’analogo preciso dell’oggetto originale. La domanda, però, sorge spontanea: anche supponendo che il traduttore sia in grado di rendere la parola o la frase specifica in modo assolutamente adeguato, il suo sforzo non sarà vano se il pubblico dei lettori non è sufficientemente edificato e quindi [la parola] è costretta a perdere le sue connotazioni così accuratamente conservate? Questo è, naturalmente, possibile, ma il traduttore non ha fatto questo sforzo in vista di un ideale piuttosto che del pubblico reale? Il più importante compito del traduttore non è creare, coltivare gradualmente, questo pubblico ideale? Altrimenti, qual è lo scopo di tutto il suo sforzo? Per cosa è bruciata la candela sulla scrivania del traduttore?
Una buona traduzione è il trasferimento il più completo possibile di un dato contenuto (intellettuale ed emotivo) da una lingua nazionale a un’altra, naturalmente, tenendo conto delle differenze culturali tra le due e delle delicate procedure compensative che queste differenze richiedono. Una traduzione scadente è il passaggio da una modalità di espressione a un’altra – per esempio, da un modo metaforico a uno astratto, da un registro scherzoso e ironico a uno serioso e piatto, da uno stile elevato a uno profano o neutro, da uno pretenzioso a un linguaggio semplice o viceversa, dalla verbosità alla laconicità o viceversa, e così via. Come è evidente, le possibilità di creare una traduzione scadente sono molto più numerose di quelle di produrne una buona.
Il meccanismo della traduzione letteraria è di facile formulazione. Ciò che viene tradotto in primo luogo non è il testo, ma piuttosto il suo senso. Questo concetto così tradotto a sua volta dà origine a un nuovo testo. Quindi il nuovo testo viene avvicinato il più possibile a quello originale. Ed è solo allora che la traduzione può essere considerata completa – almeno per quanto si può giudicare in quel momento. Come sembra essere tutto semplice in linea di massima, eppure come è laborioso il processo!
Alexander Shurbanov, dal libro Опит [Esperienza] (Ciela, 2019)
traduzione di Emilia Mirazchiyska e Valentina Meloni
Alexander Shurbanov (Sofia, 1941) è autore di oltre venti libri di poesie e saggi. Ha tradotto in bulgaro I racconti di Canterbury di Chaucer, le tragedie di Shakespeare, Il Paradiso perduto di Milton e le poesie di Dylan Thomas. Per oltre quattro decenni Shurbanov ha insegnato letteratura inglese all’Università di Sofia e ha pubblicato numerosi libri di critica letteraria sia in patria che all’estero, comprese monografie sulla poetica drammaturgica di Shakespeare e Marlowe. È vincitore di numerosi premi prestigiosi come scrittore, traduttore e studioso.
E’ uscito in questi giorni un mio libricino di haiku per bambini illustrato dall’artista Annapaola Del Nevo. Questo albo illustrato rimarrà un pezzo unico. Le illustrazioni sono meravigliose e la copertina è rigida in formato grande 23×23.
illustrazione pag.13 Briciole di Haiku
piccolo piccolo
il riccio dorme – sogna
una carezza
Con questo haiku e una delicatissima illustrazione vi auguro un buon solstizio d’autunno
Titolo: Briciole di Haiku Autrice: Valentina Meloni
illustratrice: Annapaola Del Nevo Editore: AG Book Publishing Genere: Poesia Haiku Mese/Anno prima edizione: settembre 2021
Pagine:28 interamente a colori, volume rilegato copertina rigida 23×23 Prezzo: 12,00 Euro ISBN 978-88-98590-76-6
Attraverso una serie di haiku – brevi componimenti poetici di origine giapponese – e delicate illustrazioni, i bambini impareranno a conoscere il bosco, protagonista di storie in miniatura raccontate attraverso la voce degli alberi e degli animali che lo abitano.
la candida marea delle sillabe di fuoco che mi doni la candida marea che annotta come una via lattea di versi e di silenzi la candida marea che scorre dalla tua bocca primizia di abbandoni ora trabocca…
E non mi fermo #10: nanita, Nanuk e il ragno Alvaro. Illustrato da Sara Stradi, Nausicaa Edizioni 2020. Recensione di Alba Gnazi
Prende avvio da una delle paure più forti dell’infanzia (e non solo), questo racconto di nanita(Valentina Meloni) illustrato da Sara Stradi (Nausicaa Edizioni, 2020), ovvero quella del buio, che per Nanuk, il piccolo protagonista del libro, si spalanca nel momento in cui la luce va via insieme alla buonanotte della mamma e i contorni degli oggetti si dileguano.
Da quel nerissimo buio sembrano emergere creature abnormi e forme distorte che, alla percezione esasperata del bambino (in cui facilmente si possono riconoscere i piccoli lettori e le piccole lettrici), appaiono fitte di minacce, di propositi terribili: col letto quale unica zattera nel maremoto, rilassarsi e dormire è impresa impossibile. Questo notte dopo notte, finché proprio dal buio spunta un imprevisto, formidabile aiuto a contenere le ansie che muovono gli…
Il vento africo tiene in pugno il crepuscolo con raffiche furiose. Le sue dita passano tra i fili d’erba tenera piegandoli in setose onde verdeggianti. La mimosa s’inchina al freddo, i suoi piccoli soli spargono l’ultima essenza alle stelle.
giaggioli porpora — dondolano le antere colme di pollini
Le prime rose si stringono in boccioli d’inchiostro. La notte scioglie un diluvio di nero su tutti i colori, ammutolisce le tane e gli occhi dei gufi. I sogni sono clandestini silenziosi. Non si fermano al confine. Si alzano impetuosi assieme al vento.
non c’è pietà per un cuore che soffre in primavera
Accadono cose belle… è uscito «Le biglie fanno rumore» una preziosa antologia che accoglie testi poetici dedicati all’infanzia, all’interno anche una mia poesia.
Il progetto Children nasce per dare un aiuto a quei bambini con un’infanzia negata, aiutarli a combattere contro lo sfruttamento e la violenza, toglierli dalla strada. Siamo ben consci che non succederà, è una battaglia troppo grande per poterla vincere. Possiamo però dare un piccolo contributo attraverso la poesia, dimostrare che non è fine a sé stessa e che può davvero fare qualcosa. Pertanto, i ricavati del progetto verranno devoluti in beneficenza alle onlus che aiutano i bambini in difficoltà. Il progetto è curato da Lorenzo Mele, poeta e fondatore della rivista di poesia “Il Visionario” e illustrato da Mirko Di Grazia.
«Le biglie fanno rumore» in uscita su Amazon e nelle librerie Giunti al punto.
In distribuzione dal 22 febbraio. È primo libro del 2021 di Musicaos Editore: Dendrarium, del poeta bulgaro Alexander Shurbanov, da me curato e tradotto con Francesco Tomada, quarto titolo della collana Fogli di Via, diretta da Simone Giorgino e Fabio Moliterni per il Centro Pens (Poesia Contemporanea e Nuove Scritture) dell’Università del Salento. Il volume si aggiunge a quelli già pubblicati, che ospitano le poesie di Claudia Ruggeri, Salvatore Toma, Jan Dost.
Matteo Galluzzo, lo recensisce in anteprima su “Residenze Poetiche” insieme a cinque poesie con testo a fronte in inglese:
“Focalizzando l’attenzione sul linguaggio utilizzato dall’autore, ci si ritrova al cospetto di un dire essenziale, che punta all’essenza delle cose e dietro il quale si intuisce, per restare nella metafora arborea, un lungo lavoro di sfrondatura e potatura. Un linguaggio pesante e leggero allo stesso tempo, in questo proprio come gli alberi, che racchiudono la pesantezza del tronco e la leggerezza della chioma”
domani non saremo niente non resterà più nulla di noi scompariremo come le nuvole in pioggia sottile attraverseremo la terra da polo a polo come la luce il cristallo saremo un prisma arcobaleno ponte astrale verso un altro mondo
niente saremo felici di quel vuoto che abbiamo inseguito credendolo matrice di parola saremo letto di promesse per il fiore del domani una preghiera antica covata tra i seni di una stella implosa nutrice dell’immensità
La notte è il giorno dei poeti quando le cose del mondo si nascondono alla vista e perciò i sensi si allertano e l’occhio interiore del poeta si affina, trova la sua dimensione ideale.
I poeti lavorano di notte/ quando il tempo non urge su di loro, / quando tace il rumore della folla/ e termina il linciaggio delle ore.
Scriveva Alda Merini in una delle sue più famose poesie.
Fresca la notte fuga l’estate te la scorgo negli occhi senza fondo, quell’azzurro acerbo quasi grigio.
Scrive Iuri Lombardi nel suo Dizionario delle notti edito da Arcipelago Itaca Edizioni , libro dedicato al giovane poeta Gabriele Galloni recentemente scomparso e di cui ho vissuto passo dopo passo la genesi.
La notte è anche quella interiore, sembra volerci suggerire l’autore, un dire acerbo che si spegne nello sguardo e non si fa quasi parola. “La notte è inquietudine esistenziale.”
Un libro delle ombre, delle sfumature, dei chiaroscuri , delle cose non dette, del mondo indistinto, della via di mezzo dove i confini sbiadiscono e i limiti si confondono, dove ogni cosa si enuncia furtiva bisbigliando sottovoce nel silenzio delle cose che sembrano dormire.
Le cose sono sagome sfumate; il mondo al mondo si è reso indistinto gli alberi sorreggono il cielo bianco: albeggiano tra le fronde le notti chiare.
La notte viene dipinta a piccoli colpi di immagini nitide nell’allertare tutti i sensi, si rovesciano come luci su un palco le parole che disvelano l’incedere notturno di sagome che restano abbozzi, pagliuzze di un vissuto che non ci è dato che intravedere e intuire.
I lupi rovistano la via lattea nell’incrocio delle ombre sfavillanti le lucciole accendono il novilunio, apparecchiato l’asilo sul ramo al gufo in procinto di un assolo e all’unisono s’aprano come gemme i lampioni sul viale dell’ultimo spettacolo: di uno stacco di gambe. Una sagoma con l’ombrello aspetta
Le notti scritte e immaginate sono quelle delle città di Roma e di Firenze, due città di cui Iuri è innamorato, se innamorarsi si può allo stesso tempo di due realtà intangibili e fascinose. Perchè il poeta sa che Roma è a due passi dal sud che la città si arrende […] /voluta di spazi che non contengono che Noi a nulla apparteniamo e dell’età industriale siamo comunque il dopo e che Di una città il senso lo fanno le persone…
Il poeta sente l’estraneità dell’essere, di stare al mondo
Sulla strada alla controra mi assale la vertigine di un solitario stare al mondo.
In questa raccolta definita dall’autore stesso una “raccolta epicurea” il tempo non si scinde mai in passato presente e futuro ma si mescola in un non tempo dell’urgenza del dire dove ogni cosa si fa presente e torna a essere memoria rifiorente, un ricorso storico continuo in cui tutto è detto e tutto deve ancora enunciarsi e annunciarsi al giorno. “Il presente” ci informa l’autore “è una somma di presenti.”
[…]La notte rupestre è montata sulla battigia di rena e irradia sul tuo viso i segni di una malattia misteriosa. – Quanti anni potevi avere? – […]
[…]Quando nascesti piansi di gioia – non ti conoscevo allora ma già ti facevo amico e commensale al tavolo della nostra casa; la famiglia non è un noi sigillato da un consenso, ma questo dolore che mi è consegnato.
La notte è l’ombra del giorno, se non altro il margine e sui margini dell’esistenza, dello stare al mondo si concentra la vita vera. Solo stando al margine si possono vedere le cose nitide e chiare, fare incontri particolari, cambiare continuamente pelle e rimanere se stessi. (Iuri Lombardi)
La raccolta Dizionario delle Notti si sviluppa di fatto in quattro passaggi; la prima parte o sezione così definita lucreziana, dove il buio, il livore delle notti è il protagonista va intesa non tanto come evento fisico quanto morale. Non a caso le brevi liriche si snodano tra Firenze e Roma a mio avviso città simbolo di un epicureismo contemporaneo. La seconda sezione è costituita da epigrammi non rabbiosi, anzi direi da epigrammi quasi sentimentali, d’amicizia; dove la protagonista è la gioia di un incontro. La terza parte o sezione sono poesie risalenti a una decina di anni fa e che ho voluto fortemente riproporre non tanto per la tematica quanto per l’unicità di stile che bene si abbina all’essenza escatologica degli altri testi. Infine, ma non per importanza, l’ultimo capitolo contiene due poemetti che affrontano il tema dell’emigrazione e dell’immigrazione e nello specifico il nostro approccio, sempre un po’ diffidente, con la diversità e il diverso da noi. (dalla nota dell’autore)
Del Dizionario delle notti, che ho visto nascere e crescere e di cui ho seguito le varie fasi di stesura fino alla pubblicazione, ho molto amato il Notturno rupestre che, ci informa l’autore,
nasce da un atto di cronaca dovuto alla scoperta di un reperto di un paio di scarpette di un bambino in Inghilterra risalente all’età dell’impero
Notturno Rupestre I Il suicidio dei topi da Ponte Milvio – la nostra corrispondenza non ha più mittente – sul margine del Tevere catturato dalle acque di stagione lede lo scoglio che è in te, spettina un breve vento i fari lungo i segreti corridoi dell’infanzia? Quante volte cavalcando per sorte la luna hai camminato nello slargo, tra gli angiporti di Testaccio? La sera avvampa di lumi sparsi sulla mensa della città in festa. – Quanti anni potevi avere? Forse solo un lustro che ungeva i malleoli, i ginocchi lividi, mentre tra le mani liquido colava il giorno perso tra le pause degli alberi; tra le botteghe aperte sul Campo Marzio. Poteva essere marzo e non so cosa sopraggiunse a pioverti aquiloni giù dal cielo dell’oggi per l’Aventino sgombro di un aprile già cigolante, impiccato allo stipite delle porte esquiline. – Il tuo passo ho da allora a mente: forse biblico il tuo nome dimentico tra i lampi del giorno tardo. Potrai mai perdonare? II Ebbro di quel sole color del vino nell’imbuto delle scarpe, sul letto della suola, a cucchiaio dell’incavo s’è accucciato il solstizio. Tua madre ti sorprende oggi sulla soglia con un cesto d’arcobaleno; marzo s’allarga lungo i margini umidi, tra la darsena d’acqua dolce di Trastevere. – Penso che siamo figli del silenzio, di tanto, troppo silenzio – Le Idi consumano, nel tunnel già pieno d’incenso e di mirra, la tragedia; ed è, comunque vada, vita e solo vita. La notte rupestre è montata sulla battigia di rena e irradia sul tuo viso i segni di una malattia misteriosa. – Quanti anni potevi avere? – Lumi di ghiaccio, guazza di un pianto insipido, celano le gelosie serrate a buio; i bagnanti ignari trapelano dalle acque delle terme aventine: la fine è sempre l’inizio di un episodio precedente. III L’arca dalle acque è stata coperta e su di lei abbiamo trovato il perpetuo; ti stendi come sul ventre materno, conti le curve sulla via ombrosa all’Esquilino. Gli alberi la notte allarga di mattini scorti nei suoi occhi
e del nubifragio poco rimase: – dimmi ora cosa è più importante lo stato o l’uomo? – Fu in un mattino, all’alba, o poco prima che ti cucirono le scarpette di cuoio e presto sarebbero emerse dalle onde – di te più nulla ho saputo. IV La luna appare ad intermittenza sulla linea discontinua del Tevere, oltre lo spettacolo a luci spente della via lattea. Riemerge dalle acque il relitto – ora è solo una feluca persa di nomi, un luogo di un appello impossibile – Seduto sul margine immagini i volti chiami per nome i compagni andati; disegni la violenza dell’urto mentre su Roma placida s’apre, ed è volo di gabbiano, l’alba dell’inizio. – Quanti anni potevi avere allora? – Pur di vederti salvo ti disegnerei una vita. V La guglia infuocata fora ciò che rimane del ceruleo diradato dietro la curva del Tevere. Sorretta da bracci possenti è forse il segno di un lutto da comprendere. Sarebbero venuti su a frotte dall’oriente e i molti già s’apprestavano a consumare, sulle vecchie tavole, la morte di Cesare. – Ma come si può morire di marzo? – Eppure ogni mese è possibile di morte (si può tradire solo quando si ama) e tra il lezzo delle sue spoglie, nudo tuo fratello si dà contro lo stipite esquilino, tra i denti delle rovine aventine, tra gli archi del Tuscolano. – Ma quanti amori può avere un uomo? – ti domandi nel mentre la sera tinge furiosa i capelli, incendia la fronte. La notte rupestre cigola di insegne sul Lungotevere dove fermo rimane un maggio perpetuo. Sottili le dita della sua mano, come il suo pene, tormentano di smania l’antico volgare rito da dove geme la vita. Ma se una madre sapesse il crudele destino del figlio quante volte rinnegherebbe di averlo dato al mondo? Il mio dolore gioioso, quasi di luce, sta nella consapevolezza di averti accanto. Assieme, lentamente, lesi dalle stagioni diventiamo adulti: forse uniti dallo stesso destino. Della barca è crollato l’assito: per il mare non siamo che due sagome: senza di te temo una vita impossibile.
Iuri Lombardi sembra voler chiudere qui, con questo testo, (almeno così ci informa nella sua nota di chiusura) la sua esperienza poetica, ma noi sappiamo che è cosa impossibile per chi come lui vive poeticamente in quella straordinaria forma di libertà che è la solitudine.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.