E’ stato pubblicato da LaRecherche.it l’e-book con gli interventi che sono stati letti al Macro di Roma il 14 aprile alla presentazione nazionale della mappa mondiale delle voci poetiche.
Riflessioni sulla voce, Poetry Sound Library AA. VV., eBook n. 233
con il mio intervento “I suoni sono cosa viva” tratto dall’articolo pubblicato nel blog il 20 gennaio 2019 “I can press volcanoes with my fingertip…”

Riflessioni sulla voce

“I can press volcanoes with my fingertip…”
Se pensiamo a una mappa ci vengono in mente terre sconosciute, oceani sconfinati e avventure. Se pensiamo a una mappa immaginiamo viaggi, percorsi, esplorazioni. Se usiamo una mappa calcoliamo latitudini e longitudini, distanze, altezze e profondità. Se visualizziamo una mappa abbiamo in mente luoghi e paesaggi, forse persone… non suoni.
I suoni sono parte della parola primordiale, la prima comunicazione intenzionale che racchiude gesti, mimica, tono, emozione e intensità. E la voce è una caratteristica personale identitaria e inconfondibile che imprime una chiave di comunicazione al testo letto, specialmente se il testo o la poesia in questione sono del medesimo autore.
Tra le altre funzioni della mappa vocale della poesia esiste una bellezza di sottofondo che dovrebbe essere percepita da tutti come un valore: la mappa è mossa da un motore di aggregazione… Intorno a un’idea di un singolo si sono unite persone da ogni parte del mondo che stanno collaborando per un progetto comune che riguarda la Poesia. Ma la funzione di cui parlo è la più importante ed è quella di azzerare le distanze, pure se abbiamo detto che, di solito, usiamo una mappa per calcolarle o evidenziarle. Ma se non pensiamo più soltanto in termini geografici, se ragioniamo in termini di umanità ecco che le distanze si assottigliano. E non sono la sola a pensarlo, a suo tempo lo disse con la maestria di sempre una voce tra le più importanti della letteratura slava e della Poesia mondiale: Wislawa Szymborska, nell’ultima poesia a cui stava lavorando poco prima della morte avvenuta nel 2012, all’età di 88 anni intitolata proprio “Mappa” (Wisława Szymborska, Basta così, Trad. di Silvano De Fanti, Piccola Biblioteca Adelphi , 2012)
Qui tutto è piccolo, vicino, alla portata.
Con la punta dell’unghia posso schiacciare i vulcani,
accarezzare i poli senza guanti grossi,
posso con un’occhiata
abbracciare ogni deserto
insieme al fiume che sta lì accanto.
Scrive così la Szymborska e noi oggi possiamo aggiungere che, con la punta di un dito, possiamo ascoltare la voce dei poeti, possiamo immergerci nella Poesia di tutto il mondo, essere nella stessa stanza con Allen Ginsberg, Boris Pasternak, Czeslaw Milosz, Giuseppe Ungaretti, Anna Akhmatova e persino con la Wisława stessa.
Entrando nella mappa ci troviamo in un luogo in cui convivono poeti di molte nazionalità, viventi e non viventi; da casa nostra e, con i dispositivi mobili da ogni luogo in cui vi sia una connessione, possiamo ascoltare le voci di poeti molto distanti da noi nello spazio e nel tempo. Non soltanto: lo spazio tra i poeti e le persone è abolito. I fruitori della mappa percepiscono la poesia in modo diverso, più tangibile, più umano, più alla loro portata. Non c’è l’ingombro della presenza fisica, la poesia è voce e parla con la voce del poeta non più soltanto con la sua biografia o con l’importanza di premi ed etichette, o con la distanza rarefatta della carta. C’è l’emozione e il calore di una voce con tutte le sue sfumature e sovra-impressioni da decifrare, c’è testimonianza. Come si può non percepire tutto ciò come qualcosa di importante che appartiene a tutti? Sintonizziamoci allora sulle frequenze della poesia, pur con le dovute differenze, senza obblighi di frequentazione tra poeti e fazioni poetiche, tra circoli, gruppi e generi, sintonizziamoci su una mappa che ci consente di preservare la voce, tornare alla purezza del suono, togliere il fruscio della carta dalle parole, risvegliare i suoni primordiali del vento, restituire alla poesia la potenza della voce. Perché la voce è un patrimonio culturale da preservare. Attraverso la voce trasmettiamo emozioni e vibrazioni, elementi vitali per la Poesia e per ogni tipo di comunicazione.
A est e ovest, sopra e sotto
l’equatore, un assoluto
silenzio sparso come semi,
ma in ogni seme nero
la gente vive.
E in ogni seme della nostra mappa poetica vive anche la voce di un poeta, recuperata, fatta propria, testimoniata, e ascoltata. Una voce che può far emergere ed evidenziare quel piccolo mistero, quel segreto che secondo Giuseppe Ungaretti ogni vera poesia deve possedere…
E a proposito della poesia e del suo incomprensibile mistero ma non soltanto, non soltanto, perché tutto risuona di una musica lontana sia nel parlare che nello scrivere, Friedrich Nietzsche scrisse in Su verità e menzogna in senso extramorale: «Ciò che nel linguaggio meglio si comprende non è la parola, bensì il tono, l’intensità, la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate – insomma la musica che sta dietro alle parole, la passione dietro questa musica, la personalità dietro a questa passione: quindi tutto quanto non può essere scritto.» (Su verità e menzogna in senso extramorale)
E io trovo che sia meraviglioso, come ci fosse una sottile filigrana in ogni cosa enunciata e persino, a volte, nel silenzio. La Poetry Sound Library è testimonianza attiva del recupero dell’oralità nella Poesia e della funzione orale della Poesia con il suo potere incantatorio che genera meraviglia ed emozioni, perché tutto quanto genera emozioni è anche in grado di creare bellezza. Conclude la Szymborska con un suggerimento implicito, quello di azzerare i confini, un’utopia? Beh a cos’altro dovrebbe servire la poesia se non a generare utopie e il fermento che ne consegue?
I confini si intravedono appena,
quasi esitanti – esserci o non esserci?
Amo le mappe perché dicono bugie.
Perché sbarrano il passo a verità aggressive.
Perché con indulgenza e buon umore
sul tavolo mi dispongono un mondo
che non è di questo mondo.
Sapete, non è vero che oggi i confini sono sempre più sottili e che siamo liberi di esprimerci, non è vero, no, o non lo è per tutti, per questo la testimonianza della voce è importante. La voce della poesia può mettere in luce le singolarità dei popoli, preservarne le proprie unicità e, allo stesso tempo, racchiuderle in una buccia protettiva di convergenze e affinità, la buccia di un frutto antichissimo. Esserci o non esserci? Non è più soltanto il To be or not to be shakespeariano, è molto di più. Essere nel mondo o non esserci? Fare parte di un movimento o desiderare scomparire dai confini del mondo e da ogni mappa? Io ho scelto di esserci perché desidero vivere in un mondo che non sia di questo mondo e perché desidero testimoniare tutto quanto non può essere scritto, perché come scrive il poeta Ko Un: «Nessuna poesia può rimanere su una scrivania o su uno schermo di internet. Le poesie non esistono in antologie materiali. L’Universo, lo spazio, l’immensità del tempo sono il loro palcoscenico più consono. Il testo non è che una piccola parte della poesia e non rappresenta il tutto» (Ko Un, L’isola che canta, Lietocolle, 2009). E anche io come il Ko Un raccontato dal critico Song Min Yop vorrei che respirassimo le nostre poesie prima di metterle su carta, immaginando che esse scaturiscano da un incantevole respiro più che dalla nostra penna, proprio come una cosa viva.
La mappa
(Wislawa Szymborska)
Piatta come il tavolo
sul quale è posata.
Sotto – nulla si muove,
né cerca uno sbocco.
Sopra – il mio fiato umano
non crea vortici d’aria
e lascia tranquilla
la sua intera superficie.
Bassopiani e vallate sono sempre verdi,
altopiani e montagne sono gialli e marrone,
oceani e mari – di un azzurro amico
sui margini sdruciti.
Qui tutto è piccolo, vicino, alla portata.
Con la punta dell’unghia posso schiacciare i vulcani,
accarezzare i poli senza guanti grossi,
posso con un’occhiata
abbracciare ogni deserto
insieme al fiume che sta lì accanto.
Segnalano le selve alcuni alberelli
tra i quali è ben difficile smarrirsi.
A est e ovest, sopra e sotto
l’equatore, un assoluto
silenzio sparso come semi,
ma in ogni seme nero
la gente vive.
Forse comuni e improvvise rovine
sono assenti in questo quadro.
I confini si intravedono appena,
quasi esitanti – esserci o non esserci?
Amo le mappe perché dicono bugie.
Perché sbarrano il passo a verità aggressive.
Perché con indulgenza e buon umore
sul tavolo mi dispongono un mondo
che non è di questo mondo.
(Wisława Szymborska, Basta così, Trad. di Silvano De Fanti, Piccola Biblioteca Adelphi , 2012)