Anima di poesia di Emanuele Marcuccio
recensione a cura di Valentina Meloni
Nell’accostarsi alla conoscenza di nuovi autori tutto ciò che deve parlare al lettore è l’opera stessa. Non esiste curriculum, spiegazione, postfazione o studio che debba “inquinare” -per così dire- l’approccio alla lettura delle poesie (perché di poesia qui si parla). L’opera deve contenere (e lo contiene) tutto: il messaggio, certo, le qualità stilistiche, l’originalità (ove presente) e l’impegno; deve altresì compiersi, entro una raccolta poetica, il disegno dell’autore, e, implicitamente, attraverso la parola, il verso, dispiegarsi la visione contemporanea dell’occhio interiore che vive nell’io poetico. A volte una raccolta comunica semplicemente l’evoluzione dell’autore nel suo sperimentare la propria visione: è questo il caso di Emanuele Marcuccio che si racconta in Anima di Poesia.
Anima di poesia che mi abbracci
nell’attesa, nel silenzio,
mi sembra di sognare…
Anima di poesia, non svegliarmi,
lasciami ancora sognare…[1]
Non conoscevo Emanuele Marcuccio e leggere quest’opera edita da TraccePerLaMetaEdizioni mi ha consentito di dare una forma alla sua poesia. Bella raccolta, edizione curata e accattivante, a un primo sguardo si nota la scelta lirica di diversi periodi dal 2008 al 2013: trenta le poesie, inserite per ordine di tempo, con un flashback finale in appendice che ci riporta al 1996. In questo intervallo, neppure troppo breve, si apprezza una grande evoluzione di scrittura in Emanuele, quasi che, l’autore, stia andando a maturare la propria consapevolezza di poeta con gradualità costante.
Le tematiche raccolte entro i versi sono varie e ricorrenti, molte le dediche e i richiami ad altri autori che evidenziano la necessità per Marcuccio di un dialogo costante tra passato e presente, dialogo che si esprime nella scelta stilistica e di contenuto con continui ritorni leopardiani, pascoliani e classici, ma anche nelle dediche esplicite ad autori contemporanei, nonché in un loro evidente influsso sulla struttura dell’impianto poetico che vira progressivamente verso una più fine composizione, alleggerita di quel linguaggio intriso di poetismi, stucchevole, ridondante e a volte, quasi fastidioso, troppo spesso poco originale della prima raccolta Per una strada.[2]
In Anima di Poesia si apprezza, invece, una certa maturità poetica, una ricerca di linguaggio che inizia ora a dare i suoi frutti e che dà modo all’autore di sperimentare nuovi luoghi di creazione e nuovi contenuti.
Il ritorno dell’estate si fa ripresa del fuoco interiore con la sineddoche di grande impatto metaforico per gli arbusti accesi,[3] ed è una scusa per parlare di sé, della creazione poetica, configurata nella metafora sagace questo raggio accecante: il ritorno dell’estate e della vena creativa, del sole poetico concentrato nell’assoluto condensarsi di emozioni.
Proseguendo in questi ritorni poetici che omaggiano autori non viventi, ma vivi entro i versi, si arriva a Eternità[4] dove, con una incalzante anafora, che vuole oltrepassare ogni confine fisico e psichico, Marcuccio si proietta oltre la luce, oltre la soglia, entro il malinconico vegetare che per estensione si fa pioggia e poi mare, il mare del non vivere, ossimoro contrapposto al vivere romantico ma tenacemente concreto di Nazim Hikmet (a cui la poesia è dedicata) che non contempla aspettativa né per questa né per altra vita:
«La vita non è uno scherzo. / Prendila sul serio, come fa lo scoiattolo, ad esempio, / senza aspettarti nulla dal di fuori o nell’al di là. / Non avrai altro da fare che vivere. […] Prendila sul serio/ ma sul serio a tal punto/che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi/ non perché restino ai tuoi figli/ ma perché non crederai alla morte/ pur temendola,/e la vita peserà di più sulla bilancia.»[5]
così sembra rispondere Nazim H. a Emanuele Marcuccio.
Accanto all’Eterno, sempre invocato dai poeti, e al malinconico vivere, si affianca il delicato tema dell’estraniazione, forse non più moderno ma sempre attuale e attualizzato nella presentazione di un punto di vista estraniato, dissociato, in cui il poeta si guarda dal di fuori. Traguardo la folla [6]ci proietta con sgomento entro l’alienazione moderna rivisitata nella trasfigurazione di sé, nella dissociazione che permette al poeta di attraversarsi osservando il proprio sguardo smarrito, l’agire impedito, di darsi una forma, di uscire dalla folla in un sottointeso desiderio di non conformità, di distinzione e, nello stesso tempo, di distacco dagli altri che è il primo passo del proprio definirsi, del proprio essere unico, nell’esercizio di personalità che, comunque, lo vede calmo nel distanziamento.
Si prosegue con la ricerca di un moderno disconoscersi dal vivere attuale, ancora alienante, nell’acrostico dedicato a se stesso,[7] dove il non comprendere il mondo è solo un primo stadio di smarrimento che conduce ad altra via: e l’amore m’invita… Emanuele si lascia andare senza remore, accetta l’invito marcando la terra e, entro questo suo abbandono, che si fa esercizio di continuità, si apre alla comprensione del vuoto imperante.
Questa caratteristica di stile che consente al poeta di entrare e uscire da diversi punti di vista e altrettante vie di fuga è, sicuramente, lo stilema che più mi ha colpito (favorevolmente) nella poesia di E. Marcuccio. In Io sole [8] l’io poetico si fa sovrano e spettatore dei mali del mondo, è un sole interiore di energia yang che invita a ripensare la vita da altro punto di vista, meno antropocentrico e più universale. La Luna, presente in questa poesia così come in molte altre del poeta, è sovrana indiscussa della notte, è romantica e invita all’amore tanto che, pure l’ombra, si fa d’argento. In questa ciclicità taoista di continue alternanze si fa strada l’impermanenza e la consapevole caducità effimera del vivere che prende corpo attraverso una personificazione originale e di sicuro effetto che rende il sole: riflessivo, meditativo e consapevole del suo stato di creatura.[9]
La figura del sole è ancora utilizzata in Girasoli[10]dove, stavolta, l’astro si fa metafora di poesia e, come per gli arbusti accesi, è un fuoco che illumina i momenti bui dell’esistenza:
Siamo come girasoli/ ed è la poesia il nostro sole,/ che ci fa poeti,/ che dà vita ai nostri/ caotici pensieri./ Un sole diverso,/ un sole che ci illumina/ anche di notte.[11]
Qui si porta alla luce la condizione del poeta, continuamente mosso dalla propria intuizione, che ha vita propria e da cui il poeta stesso dipende. Bellissima e intensa poesia, in cui si affina il verso in evoluzione, nell’avvicendarsi di una visione centripeta, profonda e illuminante della condizione umana. A queste due ultime poesie si affiancano anche Monte Olympus [12] e Mare della Tranquillità [13] a testimonianza di una riflessione moderna che spazia fuori da confini visivi ed entro visioni intime ma universali:
monte/ che ti slarghi/ e in altezza/ per miglia/ e migliaia/ di chilometri/ solitario/ fredda la cima/ forse fuoco/ ancora alberga/ nei recessi.[14]
La poesia, e lo scambio che da essa consegue, si fanno preziosa crescita e rinnovamento, per questo il poetare di Marcuccio è certamente esercizio di vita, non solo di stile, pratica entro cui l’attività poetica trova lo spazio che merita e nel continuo dipana un filo conseguenziale che percorre l’intera raccolta. E’ evidente la necessità per E. Marcuccio di tessere questo filo e intrecciarlo costantemente con nuovi stimoli, ed è proprio attraverso questi nuovi stimoli che emergono interessanti spunti.
S’inizia a sentire l’estrema contaminazione del verso, una virata di forma e d’uso di parola. Dalla costruzione classica, aperta, ricca di figure retoriche, si passa a una forma ermetica, asciutta, diminuita in costruzione ma elevata in intensità; incalzante, quasi affamata, mossa da una vivace e irrompente intuizione di ispirazione supersonica:
Arcata superiore/ sopraelevata / in ala a tutti/ sfreccia e rincorre/ il tempo e il suono/ squarcia lo spazio/ riduce durata di luce/ in eco/ nel ribattere veloce.[15]
La scelta verso una maggiore essenzialità denota una maturazione pressante, meno ampollosa e una ricerca di sintesi che comunica la necessità per l’autore di inventare nuove forme di linguaggio. Del resto è questo che, da sempre, fa il poeta: inventare nuovi linguaggi. Emanuele muove dal passato per alimentare queste intuizioni come in Carpe [16] dove l’imperativo latino incalzante esorta il lettore (e il poeta stesso in un’unificazione d’intenti) a estrapolare e a estrapolarsi dalla massa, a scegliere, a essere, a definirsi, nell’autenticità della consapevolezza, nel vivere il καιρός, l’intuizione, il momento, il diapason del πάντα ῥεῖ eracliteo: vivere sempre e non lasciarsi vivere.
In Telepresenza,[17] poesia dedicata come la precedente a Silvia Calzolari, balza all’intuizione interiore la consapevolezza della dispersione di sé nella nuova rivoluzione sociale che pone e frappone la tecnologia tra uomo e uomo, tra donna e donna, tra donna e uomo (come in questo caso). Ogni attuale relazione sembra essere influenzata dalla telepresenza che, seppure ambisce a possedere un suo umano calore (questa corrispondenza d’amorosi sensi), manca di realtà ed è senza reale presenza. E’ proprio questa irrealtà, forse, a ispirare il poeta perchè questo foglio di vetro impazzito sembra possedere comunque una sua coscienza, laddove la parola, privata della sua viva forma, delle sfumature del reale, a causa dell’omologazione tecnologica, è sospinta da un sentire umano che si coglie in empatia poetica, grazie a una ritrovata intelligenza emotiva, o, forse, se ne coglie l’intimo significato proprio perché spoglia dei contorni, in diminuzione, in apertura, verso nuove forme di comunicazione.
Forme verso cui si avvicenda Emanuele Marcuccio, sempre con questa gravosa e gravoso trascinarsi /che sarebbe la mia vita se non avessi /il conforto della fede e il dono/ della poesia,[18] ma utilizzando le pause e i silenzi, come un invisibile corpo d’iceberg che suggerisce una visione, lasciando spazio al mare interiore, in un’essenzialità che si fa monoverso, sfrondato dell’inutile eccesso; tagliando le cesure della punteggiatura, tralasciando l’enfasi dello incipit e del maiuscolo, aprendosi a nuovi spazi e al solo significato evocativo del segno, entro cui la poesia come
punta di un albero in piazza /espande/ propaggini/ profumi/ nella notte…
entro cui il freddo incomunicabile della
punta di un iceberg nel glaciale/ propaga/ bufere/ all’aurora.[19]
Ancora una volta il poeta parte dal proprio punto di osservazione personale (la punta di un albero) e si fa portavoce di un messaggio allargato, universale. Cogliere “punte” d’intensità in nove brevissimi versi, quasi tutti monosillabici, rafforza questa indefinita immagine centrifuga della poetica marcucciana d’incessante anelito alla ricerca, allo sconosciuto esistere, che sempre trapela da ogni singolo verso.
(Valentina Meloni)
Note
Emanuele Marcuccio (Palermo, 1974), ha conseguito la Maturità Classica nel 1994. Nel marzo 2009 esordisce con la raccolta di poesie «Per una strada» (SBC Edizioni). In giugno 2012 pubblica la raccolta di aforismi «Pensieri minimi e massime» (Photocity Edizioni). A settembre 2013 esce una monografia sulla sua produzione, a opera di Lorenzo Spurio (Photocity Edizioni), mentre a gennaio di quest’anno pubblica «Anima di Poesia» (TraccePerLaMeta Edizioni). È presente in antologie di autori vari, dal 2000 ad oggi; dal 2010 ha curato la pubblicazione di varie sillogi di poesie, di alcune curandone anche la prefazione. Attualmente sta terminando di scrivere un dramma in versi liberi, ambientato in Islanda.
[1] Anima di poesia, pag.27
[2] SBC Edizioni, Marzo 2009
[3] Torna l’estate pag.14
[4] Pag.17
[5] “Alla vita” di Nazim Hikmet
[6] Pag.20
[7] Emanuele Marcuccio (acrostico) pag.22
[8] Pag.23
[9] [N.d.A.] n.12 pag.23
[10] Pag.33
[11] Girasoli, pag.33
[12] Pag.40
[13] Pag.38
[14] Monte Olympus Pag.40 , ispirato dal vulcano del Pianeta Marte
[15] “Supersonica” pag.30
[16] Pag. 42 Carpe in latino, è l’imperativo presente del verbo carpo: cogli, prendi , strappa.
[17] pag.26
[18] Trascinarsi, pag.28 [N.d.A.]
[19] Punte pag.43
L’ha ribloggato su Emanuele-Marcuccio's Bloge ha commentato:
Ringrazio sentitamente la scrittrice Valentina Meloni per la lettura critica data alla mia silloge «Anima di Poesia», davvero attenta, profonda e puntuale.
Buona lettura!
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Emanuele mi complimento ancora per il tuo percorso e per il tuo tendere continuo al rinnovamento. Lieta di averti incontrato.
Valentina
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L’ha ribloggato su Blog Letteratura e Culturae ha commentato:
Come sempre l’amica Valentina Meloni è una profonda lettrice del testo e i suoi commenti critici svelano spesso con parsimonia e intelligenza aspetti delle opere che ai più, leggendo, possono sfuggire. Complimenti Vale e chiaramente un grande grazie all’autore per questa sua nuova pubblicazione!
Passo a ribloggare. Ciao ad entrambi!
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Ti ringrazio Lorenzo per l’apprezzamento e il re-blog, ho letto anche il tuo saggio critico su Emanuele e mi complimento per l’accurato lavoro sulla sua poesia e soprattutto per l’impegno profuso nel dedicarti alla letteratura contemporanea. Un caro saluto in attesa di un nuovo incontro.
Valentina
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