Grembo di Nicoletta Nuzzo
recensione a cura di Valentina Meloni
“Poesia è sentire le cose in stato nascens”
(Stéphane Étienne Mallarmé )
“Nel grembo/ il nido è tiepido /di parola ” è una poesia dal titolo “Parole” della raccolta poetica “Portami negli occhi” che precede “Grembo” di un anno. Piccola poesia, sintetica e potente che dà la dimensione poetica del sentire nuzziano. Risalire alla parola e alla propria nascita per ri-nascere. Questo seme pone a dimora Nicoletta Nuzzo* nel suo “Grembo“, raccolta di sessantasei liriche edita da Rupe Mutevole Edizioni in una bella e curata edizione del 2012. Grembo è un luogo-non luogo, un luogo fisico certo, ma anche spirituale, materico e nel medesimo tempo eterico, un luogo in cui principia “ciò che ancora non ha forma, sussulto e premonizione”, [1] come suggerisce Antonella Giacon nella sua bellissima e acuta introduzione.
Il grembo è prima di tutto quello materno, in cui si ha la primissima definizione corporea. Ma il principio della corporeità è solo l’inizio della nascita, perché poi nell’arco della propria vita è necessario partorirsi più volte. E perché si avveri la nascita, ci si deve staccare, il distacco che deve avvenire, com’è naturale che sia, dalla Madre di tutte le cose (Mater Matuta) in primis “Non mi sarei staccata da te /se non avessi sentito il primo morso dell’aria sulla pelle.[2] e poi dalla propria madre naturale, “Lasciami madre/nel desiderio perfetto dell’incompiuto”[3] per cercare nella differenziazione quella definizione dell’essere che può attuarsi solo nell’affermazione di ciò che non si è. E dopo il “non sono”, la figlia non più “solo figlia”, esercita l’accadere “Accado insieme al tempo/che mi percuote/ mi morde/diventa mio”[4] e poi la storia che è già divenire nel fiorire dell’ “io sono”: “Fiorirà il sì del mio corpo per abbracciare quello che non fugge e si offre/ e quello che è segreto e timido.” [5]
Nel ritrarre se stessa Nicoletta ha bisogno però della radice dalla quale cerca incessantemente e con dolore di staccarsi ma alla quale con nostalgia deve necessariamente tornare: “Non ero più tu ma non sono ancora io”. [6] E come un’onda che per esistere ha bisogno della partenza e del ritorno così la Nuzzo cerca il suo viaggio” Dove sei vita nova?/hai abbracciato la mia fronte/ e schiuso il seme che moltiplica/, pigola questo giorno su di me/mentre io svanisco”[7]. Viaggio in cui cercare la propria vita, in cui fiorire da sola “io volevo accadere da sola/troppo sola/adesso non so quando fiorire/ (…) quando è l’andata e quando il ritorno/ridammi il ritmo del mezzogiorno/del temporale sulla loggia/della tua macchina da cucire“.[8]
Una macchina da cucire che sembra quasi scandire il tempo, un tempo vorace , fatto di “attimi onnivori” [9]che risucchia con i suoi ricordi così materici e reali la neo-nata realtà presente. Un passare del tempo che fa quasi paura nella sua inconsistenza dovuta al distanziamento da esso stesso e dal proprio corpo: “Vivo dentro una fine infinita/ la paura è di casa/ ambiziosa/con i suoi rituali barocchi, /astuta/ mi ricatta con le benedizioni da un male imminente”.[10] Un tempo però che, nel presente, si fa colmo anche di speranza, di forza e di amore “Arriverà fino a te questo mio tempo presente/ed illuminerà il passato che c’è stato tra noi/poserà il sonno del gatto sulle nostre vicine solitudini”.[11]
“Grembo” è un inno alla madre per assenza di parola laddove – nella splendida definizione di Mallarmé– “Le cose sono nella poesia per assenza, che è il loro lato più autentico. Infatti, quando qualcosa ci lascia, rimane più vera perché è incancellabile: sua pura essenza. E la stessa realtà si cela a se stessa. Inoltre, con questo gioco di assenza e presenza, le cose ci appaiono immerse nel flusso del tempo; si mostrano a noi come sempre nascenti. La loro presenza è un miracolo, il miracolo originario dell’apparire delle cose. Poesia è sentire le cose in stato nascens”. [12]
E la presenza materna in “Grembo” è tanto più evidente quanto più traspare l’assenza della parola “madre” che ricorre al pari della parola “padre” una sola volta all’interno dell’intera raccolta di poesie.
Certo, nel ri-partorirsi ci si reinventa madre di se stesse, le donne sono figlie e madri allo stesso tempo, e con la maturità si attua la maternità “perfetta” che implica una nascita consapevole e responsabile: “Faccio le cose due volte/prima senza accorgermene/ e poi con lo sforzo dell’intenzione.”[13] Per questo la parola “madre”, pur nell’assenza, è presente sottintesa e, a mio avviso, ha una duplice valenza per cui, quella seconda persona “te”, cui la poeta si rivolge, indica la madre e la figlia stessa.
La poetica di questa raccolta sembra essere quasi un’esortazione al proprio io per conoscersi, per definirsi, per chiamarsi, per assegnarsi un nome e infine incontrarsi: “Ho chiamato molte volte/e poi sempre più, / (…) è che non conosco abbastanza nomi/per chiamare quello che vivo/le cose, gli atomi, i visi, i pensieri/mi guardano attenti/non aspettano altro che uscire dal silenzio.” [14]
Il poeta poiché non cerca ma trova, non sa come chiamarsi” [15]lo dice Maria Zambrano, filosofa (studiata con attenzione da Nicoletta Nuzzo che l’ha riproposta nel suo percorso poetico di insegnamento a cui ho avuto il piacere e il privilegio di partecipare[16]) che ha fatto nei suoi scritti una meravigliosa apologia della poesia. ”Dovrebbe adottare il nome di ciò che lo possiede, –continua la Zambrano– di ciò che lo prende colmando la dimora della sua anima, dell’impeto che lo trascina, ma non sarebbe facile, perché solo a volte si sente rapito…”.
Essere rapiti dalla poesia e avvolti e contornati dalla parola è ciò che accade alla nostra autrice che in questo rapimento ricerca l’incontro con se stessa. Incontro che avviene con e nella parola: “stai dietro di me/ attenta alle mie parole/le avresti dette pure tu/ non saranno mai troppe/ davanti alla Legge degli uomini, / fa’ che io precipiti dentro di me/ fino al punto di incontrarti di nuovo/ per ogni passo oltre il confine”. [17] Dove però “non c’è riparo/ non c’è difesa che parli il mio nome/e braccia/ per un corpo che ritorna seme”.[18]
Nella raccolta è presente questa voglia di vita che turbina e assalta da ogni verso in cui la parola si fa confine e argine dell’io pelle “Ero senza differenze, con i margini ancora teneri/ poi un’increspatura/ come un ispessimento di argine /così la viva densità della parola”[19]; ma la parola è anche trampolino da cui tuffarsi “farò il salto/ e sarà qualcosa di non ancora spiegato/ il respiro ardito di chi cresce/ la lingua muta di chi torna”. [20]
La parola di Nicoletta Nuzzo, questa madre dolcissima dai cui occhi traspare la forza vulnerabile del vivere in poesia, è seme e inizio di un nuovo percorso, è essa stessa grembo entro cui tornare a vivere: “Sono uscita dal seme/ e mi sono riposta subito/ accanto alla scorza/ per non dimenticare l’inizio/ dal davanzale alla stanza il passo è stato chiaro/ avevo lasciato le mie tracce nel caso di un ritorno, /ero uno stelo non più racchiuso ma appena fiorito, / il fiato non era più sospeso, / l’ora era tiepida. Forse sto vivendo”.[21]
(Valentina Meloni)
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Note
Nicoletta Nuzzo
è nata nel 1955 a Galatina di Lecce. Dopo gli studi filosofici all’Università di Bologna si è interessata di Orientamento e Formazione Professionale e di Imprenditoria Femminile. Ha pubblicato : “Cronache di un gatto perfezionista” (Manni 2006), “Un gatto senza vanità” (Rupe Mutevole 2010) e “Portami negli occhi” (Rupe Mutevole 2011). “Portami negli occhi” ha vinto Il Premio Nazionale “Il Paese delle donne” 2011 per la Poesia e ha ricevuto la Menzione d’onore per il Premio “Lorenzo Montano-Anterem” 2012.
[1] da “Sul filo delle parole” di Antonella Giacon
[2] da “Mater Matuta” pag.43
[3] da “Légami” pag.60
[4] da “La storia” pag.61
[5] da “Vita nova” pag.13
[6] da “Radici” pag.20
[7] da “In viaggio” pag.33
[8] da “Ritratto” pag.21
[9] da “D’attesa” pag.15
[10] da “Ossessione” pag.19
[11] da “Arriverà” pag.65
[12] da “Filosofia e Poesia” di Maria Zambrano pag.129-130
[13] da “Fenice” pag.50
[14] da “Il nome” pag.30
[15] da “Filosofia e Poesia” di Maria Zambrano pag. 81
[16] “Poesia come percorso di identità” corso tenuto a Perugia presso la Biblioteca degli Armeni
[17] da “Incontro” pag.54
[18] da “Non c’è riparo” pag.40
[19] da “Argine” pag.34
[20] da “La tuffatrice” pag.18
[21] da “Grembo” pag.66
Pingback: Dolcissima sapienza | Nicoletta Nuzzo
http://nicolettanuzzo.wordpress.com/2014/07/30/dolcissima-sapienza/
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