
Recupero dell’essenziale, edito da Interno Libri Edizioni, è un libro che nasce – come spiega l’autrice stessa nei ringraziamenti – dopo un recupero di poesie andate perdute a causa di un guasto irreversibile all’hard-disk del computer. Un libro che ha avuto una seconda vita, quindi, grazie ad alcuni amici che hanno aiutato Michela Zanarella a ricostruirlo ritrovando le poesie che compongono la silloge.
Ma la citazione in esergo di Rudolf Steiner indica una strada ben precisa “impara a distinguere l’essenziale dal non essenziale” e quindi si indica al lettore di andare oltre le parole, oltre il mondo fisico e cercare di trascenderlo.
La poesia è saper cogliere l’essenza delle emozioni, è saper scrivere andando al centro delle cose, recuperando il linguaggio del cuore. Ci vuole abilità per coglierla. Pensate che oltre l’ottanta per cento circa della comunicazione è non verbale, fatta di gesti, atteggiamenti, espressioni e pose. Mentre la comunicazione verbale per essere compresa deve essere prima appresa a livelli cognitivi la comunicazione non verbale non ha bisogno della consapevolezza perché è dentro di noi, tutti la utilizzano in modo automatico senza prestare troppa importanza a ciò che passa attraverso questo canale. In questa comunicazione vive l’essenziale e i poeti tentano di immortalarlo.
È quello che fa anche Michela Zanarella in questo libro chiedendo “riparo alla notte/per tutto il dolore vissuto”, emergendo da una notte dell’anima dove “il buio è testimone di quanto siano chiari/i miei silenzi”. Ma la bussola del pensiero poetico della poetessa come in La filosofia del sole sembra essere sempre il sole stesso “Fidarsi della luce che ritorna”: “Sognare il sole di notte è l’unica maniera/per trovare sollievo dal buio/che ha messo via il nostro amore/come foglie al vento.” Al contrario di altri libri, infatti, nei quali la luce è parola ricorrente e testimone della parola poetica, in Recupero dell’essenziale sono la notte e il buio i protagonisti della narrazione poetica perché la Zanarella è conscia che per trovare la luce è necessario attraversare il buio: “c’è un lato chiaro anche nella notte /è proprio nel luogo più cupo la radice di una stella” e ancora “se fosse facile capire che il buio/ è un preludio di albe dismesse/coglieremo tutte le ombre/ anche le più scompigliate.” Una delle poesie più belle di questo ciclo appartiene proprio alla notte: “La notte ha una maternità luminosa/spinge scintille dentro il buio/mentre i sogni si arrampicano come siepi taciturne/in cima alle vertebre del tempo./Reclamano l’alba ad un passo dalla luna /nuvole sottocielo /l’autunno è in ascolto, vedrà arrossire le arterie /delle strade /gli alberi parlare con la stessa lingua delle stelle, /innamorarsi dell’aria e poi svanire.”
La poetessa conscia di questa forza che sorge dalla parte più cupa di ogni essere lo scrive apertamente in questi bellissimi e corrosivi versi: “Il sole si fa guardare da chiunque /ma pochi sanno quanto buio ha dovuto attraversare/prima di splendere.” E ancora poco prima: “Saper distinguere un riflesso ordinario/da un bagliore che sa osare l’orma della luna/e diventare alba/passando di lato alle metamorfosi della notte /non è cosa per chi ha sguardi rivolti unicamente al proprio tempo.” Si deve avere consapevolezza del passato e andare oltre, ma il proprio tempo è anche quello ristretto della propria visione, è necessario apprendere dall’altrui parola e la Zanarella sembra saperlo fare con maestria, ne sono testimoni le tante poesie dedicate ai maestri e ai poeti di altri tempi: Cvetaeva, Lorca, Alberti, Sbarbaro, Cardarelli, Corazzini, Darwish, Pasolini e poi a Marcella Continanza cui è dedicata l’intera silloge… Anche questa una peculiarità di Michela che già nelle Parole accanto ci aveva abituati a leggere dei suoi maestri di parola e spirituali che sembrano essere ancora in vita: “È ancora tiepida dei vostri passi la terra/e infatti camminate tra i vivi”.
Altra cifra caratteristica di Michela Zanarella è il ritorno nostalgico alla sua terra un “Tornare nei luoghi delle trascorse memorie” che lascia un velo di malinconia tra i versi ma che ci fa comprendere quanto forte sia il legame con la terra natale della poetessa (Cittadella, Padova): “Erano le estati del fieno e dei lamponi/ai lati delle strade/nei cieli di montagna e ad un passo l’altopiano/chinavamo l’infanzia tra i sentieri di bosco/curiosi del vuoto oltre il dirupo./Pensavamo ai sogni stesi tra i sassi e le lucertole/uno tra tanti si sarebbe avverato/credevamo che correre sereni nel vento/durasse un tempo infinito/ma si cresce e la vita è come la salita tra le rocce/impari a reggerti nella terra e nella luce/per non cadere e franare l’anima/nel silenzio della neve”.
Il linguaggio poetico è quello a cui ci ha abituati Michela ricco di metafore incalzanti e lirico con versi sciolti a volte lunghissimi e con una peculiarità che è quella che mi è più cara e che vede la natura parlare dai versi con una naturalezza così ben radicata da farla diventare una cifra personalissima e interiorizzata, quasi una lingua segreta che percorre tutta la silloge: “Esiste una lingua segreta che s’impara/origliando ai piedi dell’erba/sottoterra c’è una folla di ombre sepolte/rugiade strette che vogliono tornare/sale su per le radici la grammatica dei papaveri/sosta come/respiro tra le labbra il sogno di fiorire/il sole varia la sua voce a seconda della luce/cede la parola al silenzio ed è petalo sanguigno /che osa tramonti prima della sera.”
Per chiudere un dolore sottilissimo percorre i versi di questa silloge poetica e fa da sottofondo a ogni poesia, quel dolore che la nostra individua nella notte, nel buio in cui bisogna continuare a sognare il sole per resistere. Una malinconia che è nostalgia di una terra perduta, di un passato felice quel “Essere visitati dal ricordo” ma anche di un dolore che non ha parole per manifestarsi (“Non lo sentite il dolore dell’anima”) ed è racchiuso tutto nei silenzi, (“Spegnemmo la voce al primo sole […] Il silenzio portava lo sciame di giorni”) quelli che fanno della poesia un tempo sospeso che abbisogna di sensibilità e della conoscenza di un linguaggio più profondo che sappia andare oltre le parole.