Il sole che nessuno vede-meditare in natura e ricostruire il mondo- Tiziano Fratus- Recensione apparsa in Diwali – Rivista Contaminata
«Sedendo quietamente senza fare nulla, la primavera giunge e l’erba cresce da sé. [Zenrin Kushu]
Entrare nel bosco. Uscirne. Non essere più la stessa persona che vi era entrata. Immergersi nell’acqua di un torrente, di una cascata, lasciarsi lavare dall’acqua limpida, fresca di una sorgente. Le mani a coppa in raccoglimento: dissetarsi attraverso colei che scorre, che segue un sentiero tortuoso, a noi ignoto, per arrivare limpida alla nostra bocca.

La goccia di rugiada pianse, dicendo:
« Chi, oltre il cielo, o Sole,
potrebbe contenere la tua immagine?
Io ti sogno, ma dispero di poterti servire.
Sono troppo piccola per rifletterti,
o grande re, la mia vita è tutta un pianto».
Rispose il Sole:
« Io illumino il cielo sconfinato,
eppure posso concedermi
ad una lieve, piccola goccia di rugiada.
Diventerò una semplice scintilla di luce,
ti riempirò, così la tua piccola vita
sarà una sfera sorridente».
È una bellissima poesia di Rabindranath Tagore da Il paniere di frutta (1915) citata ne L’ascolto delle acque, uno dei capitoli di Il sole che nessuno vede-meditare in natura e ricostruire il mondo- un libro in cammino come l’uomo, il poeta, lo scrittore che lo ha firmato, Tiziano Fratus. In cammino come l’acqua che è in movimento perpetuo, si trasforma e si lascia plasmare da luce, terra, vento. L’ascolto delle acque è già un mantra, noi stessi siamo acqua, in ascolto profondo del mondo ascoltiamo anche noi stessi, cerchiamo di mettere ordine in un “disordine” da crescita selvatica che ha occupato la nostra esistenza in inconsapevole muta, in incessante propagazione radicale e apicale. «Sono goccia nella corrente, da ogni pensiero nasce un torrente. Sono goccia nella corrente, da ogni pensiero nasce un torrente. Sono goccia nella corrente, da ogni pensiero nasce un torrente.» È uno dei mantra che costellano il paesaggio narrativo di questo percorso scaturito dalle meditazioni in natura che Tiziano affronta nel suo cammino interiore. In questo libro, che è solo una delle pagine del suo vasto poema arboreo-filosofico, ritrovo l’amore per i grandi alberi che lo accompagna fin dalla sua prima rinascita in California, l’amore per i boschi narrativi, poetici, filosofici che sono parte integrante della sua scrittura, del suo abitare continenti tra carta e corteccia, la tessitura di un proprio percorso di vita solitario eppure accomunante di cui ne è fulcro e testimonianza la scrittura.
« Al termine della meditazione, quando la fonte ha scavato, sento le mani umide. Apro. Capisco che mi ha piovuto dentro. Mi alzo e inizio a camminare: non ho più nome, non ho più cognome, sono nessuno, sono uno spirito che cammina.[…] Meditare nel cuore della natura è ridiventare elementi semplici, privi di pensiero» scrive Tiziano.
Meditare non per attuare il distacco dalle cose del mondo, meditare per essere nel mondo, tacitare il pensiero, pacificare la propria esistenza almeno per un momento, diventare semplici uomini tra gli uomini. Che l’acqua si raccolga dalle cime dei monti nelle sponde calme di un lago e che specchi in ritrovata unità ciò che è visibile e ciò che non lo è. Tiziano si lascia percorrere dal paesaggio, s’interroga, si siede, raccoglie il pensiero che tende a sfuggire di mano come quell’acqua sorgiva. Tra i faggi funamboli del bosco del Palanfrè recita la propria preghiera, una bellissima preghiera: «Salute a te o Gran Bosco che mi stai per ospitare nei tuoi frondai.[…] Abbi compassione di me […] accoglimi con la tua grazia, e porgi ai tuoi abitanti la mia richiesta di cittadinanza. Fammi abitare per porzioni dei tuoi anelli la tua stessa pace, la tua anima è chiesa e tempio[…]»
È ancora qui Tiziano a «…tentare di mettere tutto in comunione. Ciò che era mio sarà vostro. Qui nelle mie mani come nelle vostre.»[i] Il proprio cammino di uomo radice, spirituale e non, le letture, i libri, gli incontri, i silenzi, la propria solitudine, la tristezza, la malinconia di esistere. Il vuoto. Il silenzio. La profondità.

Recensione pubblicata in Diwali – Rivista Contaminata (pag. 82)
Il sole che nessuno vede è un libro per chi desidera « Entrare nella foresta senza muovere un filo d’erba; Entrare nell’acqua senza incresparne la superficie »[ii]; è un libro che va letto ma anche meditato nelle sue innumerevoli suggestioni: alla ricerca del silenzio, quello profondo, che non è assenza di rumore ma ascolto in armonia con ciò che esiste e lentamente si manifesta, sia che venga speculato dall’uomo oppure no. La natura traccia il proprio corso, semplicemente esiste che venga nominata, indagata, catalogata o che venga ignorata, è mossa da quell’armonia nascosta, di cui parlava Eraclito, superiore all’armonia manifesta. Concetto espresso anche nello Zenrin Kushu (raccolta Zen del XV sec.) in questi splendidi versi: «Il vecchio pino stormisce la divina saggezza. L’uccello nascosto nel bosco canta l’eterna armonia.»
Non è il verbo, come per gli aborigeni nelle Vie dei Canti di Bruce Chatwin, che fa esistere il paesaggio e la natura, che lo rende reale; è la natura stessa che si rigenera -e noi come lei- a un sole visibile ma anche a un sole invisibile che alimenta la vita e il suo scorrere. «Al di fuori del mondo umano, l’ordine della natura va avanti senza consultare libri» scrive il filosofo Alan Watts e -continua Tiziano Fratus- «La natura emerge come un libro di regole e principi, ma lo è anche prima che si inizi a distinguere, a nominare». Eppure colui che scrive e canta la natura, gli alberi e il paesaggio traccia delle linee immaginarie, invisibili, ognuno traccia la propria o più d’una, un unico vasto poema, scrive l’autore, su cui possiamo anche noi camminare: « Il canto che dà il nome alla terra cantata continua a esistere ». [iii]
(Valentina Meloni, 28/11/2016)
[i] Tiziano Fratus- “Un altro mondo” da Gli scorpioni delle langhe; La Vita Felice
[ii] dal Zenrin Kushu
[iii] di Martin. Heidegger, in Perché i poeti, citato da B. Chatwin nell’opera Le Vie dei Canti, Adelphi,pag.371