Intervista a Giovanna Iorio

“Fortunato chi sa raccontare il dolore”

Ti ho conosciuta non molto tempo fa e ho subito apprezzato la tua poesia. La freschezza della tua scrittura parla di te, pensieri profondi e parole alate, si rimane incantanti … ma vorrei che fossi tu a descriverti a presentarti ai lettori nel modo che preferisci.

G12743573_10153440210233297_5516662416004661377_n.I. Ti ringrazio Valentina, sei molto gentile. È la domanda più difficile … Le descrizioni sono un’impresa d’altri tempi. Tutto mi sfugge un po’…

Dici di te: “Io scrivo e scriverò sempre per un motivo soprattutto: far rivivere quello che rischia di scomparire o è già scomparso. L’evento trauma della mia infanzia è stato il terremoto in Irpinia. E poi ci sono le persone della mia terra che non sono mai partite, che vivono prigioniere nel mio paese o nel mio passato, creature silenziose che desiderano parlare al mondo.
Credo in una poesia che non se ne stia sul piedistallo come un pappagallo pigro e svogliato. Credo in una poesia che cambi la chimica di chi legge. Credo nelle parole: dense, piene come pietre. Credo nelle voci che si uniscono e formano letti di fiumi sassosi dove chi legge non possa evitare di nuotare tra i sassi. Credo nella poesia, e forse questa è la cosa più importante. Vorrei che la poesia facesse parte dell’esperienza quotidiana della gente. Io pubblicherei sulle tovaglie dei ristoranti, sulla carta che avvolge il pane, sugli aquiloni dei bambini …” 
(dal Blog di Poesia di Luigia Sorrentino). Mi piaceva trascrivere queste parole in cui parli anche della tua terra, del legame profondo che vi unisce… Citeresti una poesia che hai composto su questo a cui ti senti maggiormente legata?10649930_10153510779798297_5878359027154774245_n

G.I. Il terremoto del 1980 è un evento che mi ha segnato profondamente.  Dentro di me ci
sono antiche lesioni e improvvisi crolli. Il sisma è una possibile metafora della mia scrittura, una esperienza molto simile a un “terremoto dell’anima”: il boato, le oscillazioni, i crolli, la paura dell’ignoto, una esperienza antica che torna ogni volta che scrivo. Quando la terra trema, istintivamente per salvarti ti aggrappi alle cose, anche quando tutto scivola via il tuo corpo cerca disperatamente  un appiglio. Ho scritto una poesia che parla del 23 novembre. S’intitola “La notte che il mio paese sparì”.  Mentre tutto diventava polvere e pietre, nel buio i miei occhi si aggrappavo alla luna, al bianco della nebbia, alla forma delle foglie del melo morse dal gelo. Alla voce di mio padre che chiamava il mio nome. Quel ricordo pieno di suoni e forme è un pozzo profondo da dove attinge la mia poesia. In fondo a quel pozzo c’è lo

copertina inchiostro

leggi su La Recherche

strano singhiozzo della terra,  arriva da lontano. Somiglia al vagito di un neonato.

In “In-chiostro” scrivi: “M’avvicino/alla candela/brucio le ali/ senza rimpianti/ il mio destino/è la fiamma.” In questa poesia dal titolo “Falena” descrivi la condizione esistenziale del poeta. Come vivi tu la scrittura? Scrivere può essere considerata-esagerando i termini- una sorta di “missione”?

G.I. Come per la falena di cui parlo, per me la scrittura è il destino. Non credo a una volontà superiore che determina le nostre azioni, però la scrittura è una fornace. Forgia pensieri. Incandescenti. Quando tutto si raffredda, dopo il bagliore della fiamma, strozzato, modellato il pensiero trova una forma. Non una missione, dunque, ma un lavoro. Non un compito assegnato ma un lavoro che trascende l’idea di fine. Quando finisce una poesia comincia quella di un altro. La poesia è il pensiero che cerca una forma.13412975_10153702134908297_8253011068955749950_n

In “Sul mare” una delle tue bellissime raccolte di poesia scrivi delle moderne schiavitù degli uomini che vengono dal mare, profughi, raccoglitori di pomodori, prostitute che pagano per amare, nuovi Penelope, Circe e Ulisse incarnati in una mai estinta Odissea mediterranea. Un ritratto così attuale va riletto a distanza di tempo ed è quello che ho fatto: non sono solo poesie, sono storie senza tempo sospese tra mito e realtà. Quale personaggio del mito, o quale poeta/scrittore manca alla nostra epoca? Chi faresti rivivere ora se fosse possibile?

G.I. Quando ho messo insieme “Mare Nostrum” e “La nave dei folli”, le due raccolte che formano “Sul mare”, volevo che il lettore si immergesse nel mare disperato degli eroi.  Le navi degli eroi conoscono grandi prove e dolorose sconfitte. Nel mito c’è sempre la speranza di un porto, un approdo.  Amo molto i miti narrati da Ovidio. Le Metamorfosi promettono la rinascita dopo ogni morte. La morte non esiste. La realtà muta ogni istante e cerca una nuova forma. È un processo continuo e inarrestabile. Presto troveremo un modo per fonderci con nuovi popoli. Viviamo un doloroso periodo di trasformazione. Se l’Occidente riuscirà a viverlo con la fluidità del mito della metamorfosi sarà bellissimo mutare forma. Trovare insieme nuovi, fluidi equilibri.

In “Frammenti di un profilo” l’ultima delle tue raccolte poetiche, vincitore del Premio “Civetta di Minerva – Antonio Guerriero” 2016, scrivi “fortunato chi sa raccontare il dolore” cosa che tu riesci in verità a fare… lo testimonia questa libro in cui i frammenti si uniscono a ricomporre un cuore frammentato che non perde mai di vista cosa accade nel mondo. Quale dolore desideri raccontare?

G.I. Quel verso è misterioso anche per me. Viene dalla mia esperienza di lettrice. Il dolore è una parola che nella Divina Commedia compare con altissima frequenza. Nella “Vita Nova” è il travaglio stesso che genera la poesia. Ungaretti, la raccolta “Il dolore”.  Fortunato chi sa raccontarlo. Chi lo trasforma in poesia.

La tua poesia è lieve, casa in cui riesci a dare la parola persino agli oggetti. Lo fai in “Due

raccolte smarrite” dove è ancora la poesia a riuscire nell’intento di narrare storie invisibili. Tua grande caratteristica quella di narrare le piccole cose dai grandi significati. La tua ultima raccolta musicata “Dormiveglia” è  dedicata a chi la notte fatica a prendere sonno, particolarità della raccolta che quasi tutti i racconti sono ambientati a Roma, città nella quale vivi. Quanto una città come Roma riesce a ispirare la tua immaginazione? Ci narri qualche avventura, un piccolo episodio con la tua Red Valentine, la Olivetti con la quale ti avventuri nei locali romani?

G.I. In questa domanda devo rispondere di tre esperienze di scrittura diverse, provo a mettere insieme quello che hanno in comune.  Le “Due raccolte smarrite” sono poesie che 12654557_10153395876963297_5686757858261714798_nparlano di oggetti e di uno speciale “punto di osservazione” del mondo. “Il libro degli oggetti smarriti” racconta le cose che dimentichiamo di avere accanto, che non smettono mai di esistere e a volte, inaspettatamente, ritornano. “L’altalena del satiro” parla di una realtà che è inafferrabile quando restiamo fermi in un solo punto di vista. Alcune cose le vediamo soltanto se ondeggiamo, come sull’altalena. Il satiro è un personaggio molto importante. Osserva dall’alto, ondeggia, ruba la bellezza alle ninfe, non ha i piedi sulla terra.10367820_10153447883338297_1802847898138386893_n

 I racconti del libro “Dormiveglia”, invece, sono sogni a occhi aperti, o forse realtà a occhi chiusi. Due dei miei grandi maestri sono Dino Buzzati e Haruki Murakami. Buzzati scriveva di notte e sulle tele dipingeva strani sogni.  Murakami ha cominciato a scrivere di notte, in cucina, dopo una lunga giornata di lavoro. Come me… Roma è presente in quasi tutti i racconti. I miei personaggi si muovono in un paesaggio reale. Mi piace trovare i luoghi  dove i sogni si possono materializzare.

la4XjsqwI racconti che scrivo in giro per le strade di Roma e nei bar, con la macchina da scrivere Red Valentine sono surreali ma ambientati in posti reali con una storia. Conosco poco Roma. La mia geografia immaginaria trasforma Roma in una città più accessibile, a volte romantica ma spesso noir, misteriosa, magica. 

A breve uscirà la tua prossima raccolta poetica, di haiku, per i tipi di  FusibiliaLibri, titolata “Gli haiku dell’inquietudine” ispirati alla figura e all’opera di Pessoa. Puoi darci qualche piccola anticipazione?

copertina haiku dell'inquietudine

G.I. Sono una persona inquieta e amo Pessoa. Ho fatto un esperimento e mi è piaciuto molto. Ne è venuto fuori un libro particolare. Spero che vi piaccia. Gli haiku sono fotografie dell’anima e io ho tentato di fermare un’anima.  L’haiku non ama l’inquietudine. Cerca un equilibrio tra il movimento e la quiete. Se l’inquietudine è un sasso lanciato nello stagno, l’haiku è un paesaggio che contempla i cerchi sulla superficie dell’acqua. In questo libro cerco un equilibrio tra contemplazione e riflessione. Tra inquietudine e silenzio.

Qual è, secondo te,  l’assenza più grande del nostro tempo presente?

G.I. Forse il silenzio.  E il buio. Sono rivelatori. Penso a un cielo stellato. C’è tutto in un cielo stellato. Basta riuscire a contemplarne il silenzio.

Puoi salutarci con una tua poesia inedita?

G.I. Sto lavorando ad una nuova raccolta. S chiamerà “Il filo”. Provo a portare le parole in luoghi lontanissimi, vorrei tornare con qualcosa di vivo, il rischio è di perdermi nella nostalgia del ricordo. Per questo ho pensato al “filo”. Anche qui sono funambola…

 

L’ASSIOLO

Sono tornata indietro

A quel cancello grigio

con la ruggine tra i ricami

La sera cigolava

Faceva un verso

Simile al grido di un assiolo

L’aprivo e richiudevo senza sosta

Lo facevo apposta – volevo che mi parlasse

C’era qualcuno tra i cespugli

Ad osservare il gioco

Nell’oscurità non osava

Sbattere gli occhi

Poi venne la chiave

L’assiolo muto.

(da Il Filo, poesie inedite)

[ n a n i t a ]

Intervista uscita sul n. 20 di luglio 2016 della rivista di letteratura  Euterpe a tema “Assenze, mancanza”. Puoi scaricarla a questo link gratuitamente.

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