Su Malizia Christi di Davide Cortese

Un corvo su ramo fiorito del pittore giapponese Ohara Koson (1877-1945) campeggia sulla copertina di “Malizia Christi” (Edizioni Croce) e già da questa copertina si intuiscono molte cose. Oscuro, lugubre e misterioso, nella cultura occidentale il corvo è spesso associato a messaggi nefasti e infernali. Abituato a nutrirsi di carcasse richiama direttamente l’immagine della morte e dei corpi senza vita. Ma nel vasto panorama delle simbologie bibliche, il corvo emerge come una figura carica di significati profondi e misteriosi. Presente in vari passaggi del testo sacro, il corvo si erge come un simbolo dalle molteplici sfaccettature, portando con sé messaggi di saggezza, mistero e connessione con il divino. Nella mitologia giapponese, invece, il corvo è un’incarnazione del dio Amaterasu, che annuncia la fortuna e il raccolto. Oltre a essere un messaggero tra il mondo attuale e il mondo sotterraneo. Insomma una figura controversa quella del corvo con molteplici significati simbolici spesso in contrasto tra di loro e che ritroveremo tra le pagine del libro.
E allora questa copertina mi ha subito ispirato e non ho perso tempo acquistando il libro direttamente dall’editore e l’ho letto centellinandolo perché – dico la verità- non volevo arrivare subito alla fine.
Un libro è un po’ come un compagno specie se quel libro lo ha scritto un tuo amico di cui vorresti sapere di più, e ti conduce per mano nel profondo della sua intimità, perché non solo la poesia ma tutta la scrittura è intimità, io la vedo come un dialogo stretto con sé stessi e con l’altro, quello a cui affidiamo un messaggio in bottiglia e dal quale vorremmo essere accolti e compresi.


La storia è ambientata a Debrama, immaginaria cittadina inglese, nel 1912, poco prima della Grande Guerra e il protagonista è un bambino di appena sei anni che veste e agisce come un adulto tanto che tre anni prima ha già scritto una sua autobiografia di successo. Contornato da amicizie stravaganti e poetiche scrive sul suo taccuino titoli di libri immaginari e autori immaginari che il suo amico poeta centenario Dorando Marradi, farà esistere in storie altrettanto immaginarie di sua invenzione, tutte tranne la storia di Malizia Christi che è narrata direttamente dall’autore e che è l’unico vero libro che il protagonista porterà con sé nel suo viaggio sul Titanic.


Dunque in punta dei piedi sono entrata nel mondo dell’inesistente che è al centro della poetica di Davide Cortese come scrive anche Renzo Paris nella prefazione, fatto di bambini prodigio e atmosfere naif a sfondo gotico-grottesco e ne sono rimasta subito affascinata. I personaggi entrano nel cuore perché hanno quell’ingenuità bambina che è raro incontrare anche nell’adulto ma che non sconfina mai nella stupidità piuttosto oserei dire in una intelligenza superiore, quella del cuore, dei sentimenti che oggi è sempre più raro trovare. Certo ciò che Davide scrive gli somiglia e non poteva essere altrimenti, la sua purezza di poeta che inventa mondi per far sopravvivere il suo mondo è incantevole. Io non conosco la sua vita e il suo vissuto, ma c’è dentro questo suo romanzo la volontà di salvare un mondo parallelo, che forse, è quello virtuale o quello poetico dove vivono persone che sono anche entità spirituali e delle quali coglie le sfumature trasformandole poi in peculiarità dei personaggi di cui va scrivendo.


Potrei definire Malizia Christi un metaromanzo atipico, un romanzo che parla di un romanzo che è al centro della storia narrata. Ma esulando dalle definizioni ho amato leggere Malizia Christi per il potere evocativo che hanno i suoi personaggi, tutti un po’ strambi e tutti poeticamente ritratti con autentica bravura dalla fine immaginazione di Davide Cortese.


“Il signor Babelsberg aveva solo cinque anni e non c’era persona a Debrama che non avesse già sentito parlare di lui. Non usciva mai di casa senza indossare il suo cilindro, il papillon e l’abito scuro. Tutti lo salutavano ossequiosi e sapevano di lui ogni cosa, poiché, probabilmente, avevano in casa una copia di “Io sono Adam”, l’autobiografia che il signor Babelsberg
aveva scritto all’età di tre anni, destando lo stupore e l’interesse della stampa di tutto il globo. Adam Babelsberg viveva da solo, ma accadeva raramente che la sua casa non avesse ospiti. Era solito invitare a cena il pittore Adrian Malick, con cui amava discutere d’arte e di storia, la marchesa Yvonne de Saint Jacques, brillante pianista che adorava quanto lui la Passacaglia di
Händel, Timo e Teo, i due figli gemelli della marchesa, il poeta Dorando Marradi, che avrebbe compiuto cento anni nello stesso giorno in cui il signor Babelsberg ne avrebbe compiuti sei, e l’attrice Maeva Westwood, diva del muto di cui il signor Babelsberg era inguaribilmente innamorato.”

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