In nome della madre -la profezia della parola-

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Un viaggio in treno e un libro preso a un mercatino dell’usato di un’associazione che si occupa dei bambini di Černobyl’: In nome della madre. Non lo avevo ancora letto anche se amo molto la persona e la scrittura di Erri De Luca. Ora sul Frecciargento che mi riporta a casa da Trento posso leggerlo in tutta tranquillità: sono meno di ottanta pagine e volano via tutte d’un fiato come spesso accade con i libri di questo autore. Brevità che si coniuga a un linguaggio lirico ma semplice, suggestivo, metaforico, simbolico dove la parola viene scelta con cura e incarna significati semantici e figurativi che imprimono uno spessore concreto alla narrazione.

Nel libro c’è una dedica anonima a penna: trovo scritto in maiuscolo “Un inno alla maternità”. Di questo si tratta e non conoscendo nulla del libro mi sento stupita. Rientro da una bellissima manifestazione che si svolge in Val di Cembra (La festa dell’uva) dove è stato letto e premiato, assieme ai racconti di Rita Mazzon (primo) e Luciano Poletto Ghella (terzo) uno dei miei haibun Due piccoli acini di uva nera” che racconta proprio una maternità legata alla terra. Sono stati giorni meravigliosi incorniciati da paesaggi idilliaci, conditi da un’ottima compagnia e un’accogliente ospitalità. Era molto tempo che non stavo così bene e questo libro tra le mani ora mi ricongiunge al mondo materno. In copertina campeggia la “emme” ebraica di Miriam, una emme incinta –recita la nota finale sulle alette di copertina- gonfia con un’apertura verso il basso. In quarta invece la mem sofit in ebraico, chiusa da ogni lato, la emme finale. In una sola parola la storia. Miriam è la forma ebraica originale del nome Maria, מִרְיָם (Miriam). Leggo su Wikipedia che la sua origine è fortemente dibattuta: la teoria più accreditata lo ricongiunge a un’origine egizia, da mry o mr (che significano rispettivamente “amata” e “amore”).

Pur avendo avuto prova dell’abilità letteraria e della grande sensibilità del poeta De Luca, mi chiedo, scorrendo queste pagine, come abbia potuto un uomo rendere il significato e il mistero della gestazione, della gravidanza, del parto, della maternità. Quella di Maria è la storia più antica: la donna lasciata al suo destino di madre cresce e scopre se stessa. “Partorì da sola. Questo è il maggior prodigio di quella notte di natività: la perizia di una ragazza madre, la sua solitudine assistita.” si legge nella Premessa: “In nome della madre s’inaugura la vita”.

E’ il vento -anche qui- ad aprire il prologo, maestrale di marzo che si avvita al fianco di Miriam sciogliendone la cintura e lasciando seme nel grembo. Le metafore naturali incalzano tutta la narrazione e il lirismo panico pervade la mistica del mistero della Vergine. E poi la voce di Miriam è l’io narrante che commuove per forza e candore da subito: “Il vento di marzo in Galilea viene da nord […] porta bel tempo, fa sbattere le porte e gonfia la stuoia degli ingressi, che sembra incinta. […] Nella nostra storia sacra gli angeli hanno un normale corpo umano, non li distingui. Si sa che sono loro quando se ne vanno. Lasciano un dono e pure una mancanza. Neanche Abramo li ha riconosciuti alle querce di Mamre, li ha presi per viandanti. Lasciano parole che sono semi, trasformano un corpo di donna in zolla di terra”.

Non credo che potrò mai dimenticare questa piccola ultima frase Lasciano parole che sono semi, trasformano un corpo di donna in zolla di terra. Quante parole mi rimandano alle mie letture, alle mie scritture, al mio vissuto, al passato più lontano che non conosco e tutte assieme sono legate strette a un filo che non si spezza mai. Maria è anche il nome di mia madre, ripercorro la mia nascita e la mia maternità e poi la maternità simbolica della scrittura che si ricongiunge al padre perché dice Miriam “Gli uomini danno tanta importanza alle parole, per loro sono tutto quello che conta, che ha valore.[…] Sotto, il mio corpo chiuso era un campo di neve. Mentre parlava io diventavo madre. Gli uomini hanno bisogno di parole per consistere, quelle dell’angelo per me erano vento da lasciar andare. Portava parole e semi, a me ne bastava uno.”

Miriam è la Madre, in lei tutta le tenerezza e la forza delle donne. Parla al suo bambino nella pancia, si espone al sole per farlo abituare alla luce, si prepara al parto senza timore, è pronta alla solitudine e racconta al piccolo nascituro: “Più del giorno ti stupirà la notte. E’ un grande grembo stracarico di luci. Nelle sere d’estate qualcuna si stacca e viene vicino, fischiando. In mezzo a loro passa una via bianca, un siero di latte, quando lo vedrai vorrai succhiarlo. Pensa che io sono una di quelle luci e intorno a me c’è un ammasso di altre. Così è la notte, una folla di madri illuminate, che si chiamano stelle: di tutte loro, solo io tua”.

La trama la conoscete già, inutile che ve la racconti, la bellezza di questo libro non è nell’intreccio, è una storia sempre uguale e ogni volta diversa attorno a cui ruotano le storie di tutte le madri, di tutti i figli. Miriam partorisce da sola nella capanna, Iosef aspetta fuori: “Fino alla prima luce Ieshu è solamente mio. […] Fuori c’è il mondo, i padri, le leggi, gli eserciti, i registri in cui iscrivere il tuo nome […]. Fuori c’è l’accampamento degli uomini. Qui dentro siamo solo noi, un calore di bestie ci avvolge e noi siamo al riparo dal mondo fino all’alba. Poi entreranno e tu non sarai più mio.”

No. La bellezza di questo libro è altrove.

Si chiudono le pagine con il vento come si erano aperte e Miriam riflette, riflette Erri: parole che adesso (la prima edizione del libro è del 2006) sanno di profezia: ”Com’è che non hai pianto, com’è che non piangi? Non puoi, sei forse muto? Meglio sarebbe, saresti salvo, si dà troppa importanza alle parole, succede che costringono all’esilio, alle prigioni o peggio. Portano peso eppure sono fiato.”

Grazie Erri, in nome della madre.

Valentina

N.B. Dome­nica 4 otto­bre sulla Sainte-Victoire, nei pressi di Aix-en-Provence si svolgerà la marcia per Erri De Luca e la libertà di parola: per soste­nere sim­bo­li­ca­mente lo scrittore, molto tra­dotto e letto Oltralpe, nella tri­ste vicenda che lo vede coin­volto nel pro­cesso per aver espresso la sua opi­nione circa la costru­zione della Tav Torino-Lione e le lotte ambien­ta­li­ste in Val di Susa. La mar­cia partirà dal Bar­rage du Bimont alle 10.30 con arrivo in cima della Sainte-Victoire pre­vi­sto per le 12.30. Una volta rag­giunto il punto più alto ver­ranno reci­tati da attrici fran­cesi e ita­liane alcuni brani tratti dall’opera di Erri De Luca, che par­lano di mon­ta­gna e libertà di espres­sione. Tra gli obiet­tivi dell’iniziativa il col­le­ga­mento con altri «cam­mi­na­tori» delle mon­ta­gne ovun­que essi si trovino.

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8 pensieri su “In nome della madre -la profezia della parola-

  1. Interessante questa tua recensione di un libro che non conoscevo… Mi ha molto colpito la frase finale ”Com’è che non hai pianto, com’è che non piangi? Non puoi, sei forse muto? Meglio sarebbe, saresti salvo, si dà troppa importanza alle parole, succede che costringono all’esilio, alle prigioni o peggio. Portano peso eppure sono fiato.”… Frase come dici tu molto profetica…. Grazie per averlo recensito e per avercelo fatto riscoprire…
    Federico

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  2. Uon uomo, sia pure un grande scrittore, scrive sulla maternità, in maniera commossa e quasi mistica. Ma fuori c’è il mondo degli uomini. I due -madre,figlio-sembrano salvarsi solo nell’intimita, nel chiuso mondo del loro rapporto. Ma è fuori che la maternità deve proiettare la sua ombra, donare la sua potenza e la sua forza al figlio.. Pericoloso azzardio! Ma lì, nella parola della madre, nello stampo che ci ha dato che si misura la sua differenza e il suo ordine simbolico, diverso dalla legge del padre….

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